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Gli anti globalizzazione, Trump e le balle sull’Italia

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Il mondo trattiene il fiato, nel tentativo di capire dove andrà a finire la guerra commerciale scatenata da Donald Trump. Nel mentre gongolano le robuste legioni di chi ha sempre detestato la globalizzazione, la concorrenza e il merito

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Gli anti globalizzazione, Trump e le balle sull’Italia

Il mondo trattiene il fiato, nel tentativo di capire dove andrà a finire la guerra commerciale scatenata da Donald Trump. Nel mentre gongolano le robuste legioni di chi ha sempre detestato la globalizzazione, la concorrenza e il merito

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Gli anti globalizzazione, Trump e le balle sull’Italia

Il mondo trattiene il fiato, nel tentativo di capire dove andrà a finire la guerra commerciale scatenata da Donald Trump. Nel mentre gongolano le robuste legioni di chi ha sempre detestato la globalizzazione, la concorrenza e il merito

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Il mondo trattiene il fiato, nel tentativo di capire dove andrà a finire la guerra commerciale scatenata da Donald Trump. Nel mentre gongolano le robuste legioni di chi ha sempre detestato il libero mercato, la concorrenza e il merito. C’è da capirle: le ali estreme degli schieramenti politici hanno sviluppato un odio sordo nei confronti della globalizzazione. Mascherata dietro la difesa dei ‘popoli’ oppressi dalle ‘élite’. Uno schema che in Trump ha trovato il campione indiscusso.

Che in questa lotta senza quartiere alle élite finiscano per soffrire proprio i poveri, i quasi poveri e i meno ricchi è solo un fastidioso dettaglio. Eppure, se decidessimo di chiuderci –rinunciando alle possibilità offerte dai mercati – distruggeremo la nostra economia basata in buona misura sulle esportazioni. Chi va in giro dicendo che i dazi sono un’opportunità e una cosa meravigliosa («La parola più bella del mondo», per dirla con Trump) dovrebbe poi spiegarlo a migliaia di italiani. Che perderebbero il posto di lavoro in seguito al fallimento delle loro aziende.

Da anni la parte di gran lunga più competitiva delle nostre imprese è legata all’export, in primis nell’Ue e nei nuovi mercati. Siamo ancora una potenza economica grazie a questo e si va in giro a dire che i dazi sono una bella cosa. Chi invoca il ‘ritorno’ dell’industria e identifica nella delocalizzazione una rapina di posti di lavoro degli italiani, spesso ignora la specificità del nostro Paese. La capacità di essere leader in una serie di nicchie economico-produttive. Che non fanno notizia ma sono il motore della ricchezza delle aree più avanzate d’Italia. Quelle stesse che fanno una fatica bestiale a trovare lavoratori specializzati, personale più qualificato e che senza immigrati collasserebbero.

Chi odia la globalizzazione e i mercati aperti dovrebbe farci la cortesia di spiegare dove sono tutti gli italiani che non vedono l’ora di andare a lavorare in fabbrica. Soprattutto giovani. La fabbrica di oggi, che necessita di formazione continua e personale altamente qualificato. Le fabbriche che invocano i no global ormai esistono solo sui sussidiari delle elementari.

Nell’era dello smartphone, i leader si sono messi a ripetere ciò che vogliono sentirsi dire gli elettori. Poi capita che il paladino no-vax e segretario della Salute Usa Robert Kennedy Jr. debba andare al funerale di una bambina morta di morbillo. Negli Usa. Nel 2025. E invochi… il vaccino. Tranquilli, il leader populista-tipo è già passato al prossimo capitolo.

Di Fulvio Giuliani

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