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McCarthy

Gli Usa e noi

Diversamente da quanto accaduto negli Stati Uniti, una mozione di sfiducia nei confronti dei presidenti delle nostre Camere non è mai stata contemplata
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Diversamente da quanto accaduto negli Stati Uniti, una mozione di sfiducia nei confronti dei presidenti delle nostre Camere non è mai stata contemplata
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Diversamente da quanto accaduto negli Stati Uniti, una mozione di sfiducia nei confronti dei presidenti delle nostre Camere non è mai stata contemplata
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Diversamente da quanto accaduto negli Stati Uniti, una mozione di sfiducia nei confronti dei presidenti delle nostre Camere non è mai stata contemplata
Gli apprendisti stregoni spesso e malvolentieri rimangono vittime dei loro artifici. È il caso del repubblicano Kevin McCarthy, fino a qualche giorno fa speaker (cioè presidente) della Camera dei rappresentanti. Credendosi furbo di tre cotte, accettò sub condicione l’alta carica. Un sì ma, bello e buono. Sì all’elezione, ma a patto di predisporre strumenti atti alla sua revoca. Detto, fatto. Convinto com’era McCarthy che mai e poi mai sarebbe stato sfiduciato. Prima di tutto perché persuaso che il suo partito, in maggioranza alla Camera, mai e poi mai lo avrebbe defenestrato. E poi perché una mozione di sfiducia presentata dalla minoranza democratica avrebbe fatto cilecca. E invece…
È capitato di tutto, di più. Cose da far rabbrividire Cavour, padre del Connubio con Urbano Rattazzi, e Agostino Depretis, maestro di trasformismo. Da una parte una decina di repubblicani capitanati da Matt Gaetz, trumpiani di ferro, hanno criticato lo speaker McCarthy per essere sceso a qualche compromesso con i democratici al fine di far approvare la legge di bilancio. Pena la paralisi delle attività dello Stato. E hanno presentato una mozione di sfiducia allo scopo di rimuoverlo dall’incarico. Una manovra vincente, dal momento che ai trumpiani arrabbiati si sarebbero uniti i democratici. A questo punto McCarthy non si è arreso e ha risposto al trasformismo con il trasformismo. Per salvarsi, ha tentato la carta di un ‘aiutino’ da parte di una frangia di democratici. Ma il tentativo è fallito. E la mozione è stata approvata con 216 voti a favore e 210 contro.
Se la Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti non l’aveva mai prevista fino al compromesso di cui si è detto (grazie al quale McCarthy prima è stato eletto e poi giubilato), una mozione di sfiducia nei confronti dei presidenti delle nostre Camere non è mai stata contemplata né ai tempi dello Statuto albertino né in età repubblicana. Certo, nei primi decenni dello Statuto il presidente della Camera rassegnava le dimissioni qualora fosse cambiata la maggioranza che lo aveva eletto. Ma poi nel 1877 il presidente della Camera Francesco Crispi si fece togliere dalla chiama allo scopo di sottolineare la propria terzietà rispetto alle parti in causa. E da allora si affermò una prassi consolidatasi in consuetudine secondo la quale i presidenti delle Camere non votano.
Un maestro del diritto del calibro di Maurice Hauriou diceva che là dove c’è potere c’è responsabilità. Ma ciò non vale per i presidenti delle Camere, che del loro operato non rispondono a nessuno. Perché mai? Perché il loro è un potere neutro, arbitrale per così dire. La questione si pose, come si ricorderà, quando il presidente della Camera Gianfranco Fini un giorno sì e l’altro pure prendeva a bersaglio il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi sposando la singolare tesi secondo cui il presidente della Camera nell’esercizio delle sue funzioni a Montecitorio deve affettare la massima imparzialità, ma fuori di Montecitorio – come capo del suo partito – può dire tutto ciò che gli salta in testa. Nonostante questa manifesta anomalia, si convenne che i presidenti delle Camere non possono essere alla mercé della maggioranza parlamentare e si dovette arrivare alla conclusione che per rimuoverli c’è soltanto l’espediente dello scioglimento delle Camere o di una soltanto. Con il risultato che come uno yogurt i presidenti scadranno con la prima riunione delle nuove Camere. A estremi mali, estremi rimedi. Di Paolo Armaroli

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