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Governo

Governo tra-Fitto

Attenzione, perché così il governo finisce trafitto non dagli avversari ma dalla propria incapacità di tenere la compagine a una sola linea politica

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Attenzione, perché così il governo finisce trafitto non dagli avversari ma dalla propria incapacità di tenere la compagine a una sola linea politica

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Attenzione, perché così il governo finisce trafitto non dagli avversari ma dalla propria incapacità di tenere la compagine a una sola linea politica

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Attenzione, perché così il governo finisce trafitto non dagli avversari ma dalla propria incapacità di tenere la compagine a una sola linea politica

Il problema non è sapere quale incarico e quali deleghe avrà il commissario europeo indicato dall’Italia, perché saranno importanti e che siano anche incidenti dipende dal modo in cui quel lavoro sarà svolto. Ciascun Paese dell’Unione europea indica un commissario e nessuno dei nominati rappresenterà il proprio Paese o ne farà gli interessi (cosa proibita dai Trattati) né si ritroverà isolato, perché la Commissione è un organo collegiale. Isolata rischia di trovarsi l’Italia, anche perché il commissario – che dev’essere indicato entro la fine di questo mese e con ogni probabilità sarà Raffaele Fitto – si ritroverà con un governo italiano che sta pericolosamente divergendo dagli interessi europei. Che sono i nostri.

Nei primi sei mesi di quest’anno l’Italia ha superato il Giappone in valore delle esportazioni. Siamo sempre stati grandi esportatori, ma il surplus raggiungibile – al netto dei prodotti energetici – si colloca ora a 100 miliardi. L’Italia che corre e funziona non rifiuta ma vince la concorrenza, sa competere e vive nei mercati internazionali. È l’Italia rattrappita nelle miserrime protezioni, nel rifiuto della competizione e nella tutela delle rendite ad andare male. Quindi l’Italia che tira la carretta è europea e globale, ricordando che il principale mercato delle nostre esportazioni è e resta quello interno europeo.

La politica che va a rimorchio del consenso, rinunciando a guidarlo e guidare il Paese, riflette questa doppiezza italiana. Qualche volta riuscendo a propiziarne l’inefficiente convivenza, qualche altra cadendo in eclatante contraddizione. Ed è quello che capita ora.

Nello stesso posto, al Meeting di Rimini, sono andati a parlare il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti e quello che segue l’attuazione del Pnrr, il già citato Fitto, esponendo due posizioni inconciliabili. Neghino quanto credono, riaffermino la compattezza della maggioranza, ma non cambia una virgola. Giorgetti dice che il Pnrr è una pianificazione sovietica e che il Patto di stabilità costringe al corto respiro. Posto che si pianifica e si fanno programmi pluriennali in tutte le aziende e a cura di tutti i governi degni di questo nome (laddove la deviazione sovietica consisteva non nel pianificare ma nel farlo dispoticamente e sopprimendo la libertà), il Pnrr è un impegno preso dal governo alla sua nascita e sono troppi due anni per accorgersi che è roba brutta. Il tutto ricordando che il governo italiano chiede che ne siano allungati i tempi, quindi estesa la pianificazione. In quanto al Patto di stabilità, tenendo presente che lo ha negoziato lo stesso Giorgetti, è singolare che si rimproveri qui il tempo corto e agli investimenti Pnrr il tempo lungo. Non ha senso. Erano battute? Non so il successo che avrebbero a “Zelig”, ma per l’Italia sono guai. Ci siamo già chiamati fuori dalle nomine dei vertici Ue e dalla maggioranza nel Parlamento europeo, certe battute finiscono con il ricordare che Giorgetti stesso è stato rieletto con campagne per l’uscita dall’euro. Non sembra essere nell’interesse italiano.

Fitto, all’opposto, è andato a dire che il discorso di von der Leyen ha avuto passaggi positivi, che di Pnrr ce n’è uno solo e che è un’occasione che l’Italia non può perdere (e a sentirlo ripetere si corre agli amuleti) e che si devono tagliare le spese inutili (quali, per la miseria, si dica quali) e far scendere il debito. Che nel frattempo sale e se ci fosse anche il respiro lungo cui aspira Giorgetti si moltiplicherebbe mandando in pensione altre legioni da mantenere.

Attenzione, perché così il governo finisce trafitto non dagli avversari – impegnati a raccogliere le firme contro la riforma costituzionale che fecero – ma dalla propria incapacità di tenere la compagine a una sola linea politica, così come previsto dalla Costituzione. E non si dica che non ci riesce perché la Costituzione non gliene dà i poteri, perché una simile motivazione sarebbe l’ammissione della resa alla disomogeneità della coalizione che lo regge.

di Davide Giacalone

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