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Politica

Grammatica e linguaggi della politica

C’era una volta “Tribuna politica”. Oggi? Decine di talk dove non si capisce nulla, conduttori che invitano figuranti della politica e cosiddetti opinionisti pagati per l’insulto un tanto al chilo

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Grammatica e linguaggi della politica

C’era una volta “Tribuna politica”. Oggi? Decine di talk dove non si capisce nulla, conduttori che invitano figuranti della politica e cosiddetti opinionisti pagati per l’insulto un tanto al chilo

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C’era una volta “Tribuna politica”. Oggi? Decine di talk dove non si capisce nulla, conduttori che invitano figuranti della politica e cosiddetti opinionisti pagati per l’insulto un tanto al chilo

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C’era una volta “Tribuna politica”. Oggi? Decine di talk dove non si capisce nulla, conduttori che invitano figuranti della politica e cosiddetti opinionisti pagati per l’insulto un tanto al chilo

C’era una volta “Tribuna politica”. Trasmissione televisiva centrata sui temi della politica, creata per decisione del governo Fanfani, in onda per la prima volta alle 21 di mercoledì 26 aprile 1961. In bianco e nero, ovviamente. Milioni di telespettatori. A condurla di volta in volta il direttore Jader Jacobelli, Giorgio Vecchietti, Ugo Zatterin, l’irreprensibile Luca Di Schiena, il colto Villy de Luca.

Le riprese erano talvolta caratterizzate da una luce azzurrina, effetto in realtà del fumo delle sigarette dei giornalisti presenti in studio. Sollecitati dai conduttori alla concisione, porgevano le domande ai politici di turno. Amintore Fanfani, cortese e con l’inconfondibile accento aretino, rispondeva a un Eugenio Scalfari che si accendeva la sigaretta con atteggiamento attoriale. Alberto Ronchey gigioneggiava un po’ per mostrare tutta la sua immensa cultura, capace di fare citazioni dotte così come quando scriveva sui quotidiani. Gli potevano rispondere da par loro un maestoso Giovanni Spadolini con l’inconfondibile erre moscia oppure un Ugo La Malfa con gli occhiali con lenti a fondo di bottiglia che – da vera Cassandra, come veniva soprannominato –prevedeva i reali disastri dell’economia, la congiuntura, l’inflazione, il già compromesso debito pubblico.

Tutto un po’ soporifero, ma li ascoltavi non soltanto per ‘capire’ il mondo intorno ma anche, forse in modo inconsapevole, per imparare la lingua italiana, nel solco di “Non è mai troppo tardi” del mitico maestro Manzi. Nessuno inscenava risse. Soltanto il comunista doc Gian Carlo Pajetta, carattere fumantino e maniche della camicia lise, non le mandava a dire. Tutto il contrario del segretario del Movimento Sociale Giorgio Almirante: educato, forbito, anche a fronte di domande impertinenti. E poi Luigi Longo detto “Gallo”, uno che a incontrarlo per strada lo avresti subito detto comunista dall’abito e dal portamento, che rilanciava ogni volta la “via italiana al socialismo”, suo vecchio cavallo di battaglia. Fra i giornalisti un giovane educato e sempre inappuntabile Gianni Letta, direttore de “Il Tempo”. Un grande liberale come Malagodi spiegava poi l’economia ai presenti e al popolo sul divano, sempre con tono professorale ma impagabile nella sua chiarezza.

Nostalgia canaglia di un tempo che fu? Le stagioni non sono più quelle di una volta? Certo che allora… e via dicendo? Forse. Come forse è l’età che mi fa raccontare di momenti che da ragazzino erano imprescindibili. E di quanto abbiamo imparato, pur con l’inflazione, la congiuntura e il debito pubblico. Oggi? Decine di talk dove non si capisce nulla, conduttori che invitano figuranti della politica e cosiddetti opinionisti pagati per l’insulto un tanto al chilo, spezzoni millimetrici di discorsi parlamentari del giulebboso Giuseppe Conte, che parla concitato di povertà, Giorgia Meloni che replica roteando gli occhi, Renzi che fa il comico ma non fa quasi mai ridere, le supercazzole di Elly Schlein e un esercito di terze linee della politica delle quali manco vien voglia di citare il nome, figuriamoci il pensiero. Una cosa è certa: entreranno negli archivi parlamentari ma nessuno li andrà a compulsare. Intanto arriva Sanremo. Ma non è una cosa seria.

di Andrea Pamparana

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