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Grillismo e populismo

Il tramonto del grillismo appare inarginabile ma il populismo non è finito, cerca solo nuovi metodi espressivi e nuove aggregazioni.
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Grillismo e populismo

Il tramonto del grillismo appare inarginabile ma il populismo non è finito, cerca solo nuovi metodi espressivi e nuove aggregazioni.
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Il tramonto del grillismo appare inarginabile ma il populismo non è finito, cerca solo nuovi metodi espressivi e nuove aggregazioni.
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Il tramonto del grillismo appare inarginabile ma il populismo non è finito, cerca solo nuovi metodi espressivi e nuove aggregazioni.

Una canzone di successo di un bel po’ di anni fa si chiedeva cosa sarebbe restato degli anni Ottanta, del decennio tutto lustrini, paillette, tv commerciali e debito pubblico in grande allegria. Domanda che temiamo possa essere rivolta anche a ciò che resterà, in Italia almeno, di una lunga stagione populista che avrebbe dovuto aprire scatole di tonno, rivoltare il mondo, rivoluzionare la politica e si trova a raccogliere i cocci di un partito che fu di maggioranza relativa e oggi assomma disastri elettorali in sequenza, finendo anche per perdere i numeri in Parlamento.

Abbiamo smarrito la memoria delle espulsioni disciplinari, degli abbandoni per sopraggiunta disillusione e delle mini scissioni, fino all’urto finale dell’addio di Luigi Di Maio. Una delle (ex) anime identitarie del Movimento grillino è stata folgorata sulla via di Draghi, ma con lei se ne sono andati in 62 fra deputati e senatori. Mica bruscolini. Paradosso e ironia (concedetecela) a parte, la dissoluzione di fatto del Movimento Cinque Stelle non andrebbe salutata con malcelata soddisfazione e un coro di «L’avevo detto». Il populismo, che “La Ragione” ha sempre criticato in modo esplicito e senza fare sconti, non è finito. Cerca solo nuovi metodi espressivi e nuove aggregazioni, mentre il tramonto del grillismo appare inarginabile. Persa in buona parte anche la sponda leghista, con la profonda crisi identitaria del salvinismo, alla corrente politica che caratterizzò i turbolenti mesi del Conte 1 resta la versione sovranista e nazionalista, di gran moda e fortuna in questi mesi con le scaltre e astute prese di posizione di Giorgia Meloni. Sempre pronta a picconare il governo da unico partito di opposizione, ma intelligente e pronta nel sostenerlo in politica estera e sulla guerra scatenata da Vladimir Putin contro l’Ucraina.

Va detto, però, che a restare è soprattutto linconsistenza di qualsiasi altro progetto voglia porsi in alternativa al populismo sempre pronto a rialzare la cresta, eleggere nuovi idoli e abbracciare nuove battaglie. Se non ci si crede, basta affacciarsi in Francia – della quale abbiamo abbondantemente commentato lesito delle elezioni presidenziali prima e legislative poi – e valutare con attenzione londata di proteste sindacali in Gran Bretagna, che rischia di tramutarsi in veri e propri moti sulla falsariga delle battaglie anti-Thatcher degli anni Ottanta (ci risiamo con gli eighties).

Servirebbe un progetto politico in grado di proporre al Paese una strategia e una visione di sé, da contrapporre ai legittimi modelli populisti e a quelli sovranisti oggi con il vento in poppa. Invece, il nulla. Solo stanche ripetizioni di soluzioni sempre uguali e neppure il sacrosanto guizzo di metter mano a quella sciagurata legge elettorale che sembra fatta apposta per condannare il Paese all’ingovernabilità. Forse, nel deserto delle loro idee, ai partiti tutto sommato va bene così: la competizione elettorale di fatto già aperta regalerà qualche mese di grande protagonismo mediatico, poi si voterà e si vedrà.

Ripensando alla convulsa decina di giorni che precedette la rielezione del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, sorge il sospetto che tutti si muovano con una sorta di riserva mentale, scommettendo di riuscire a fare il colpo’ nelle urne ed ergersi a dominus della prossima legislatura. Male che vada, ci sarà sempre una figura di garanzia – prima Draghi, poi Mattarella, poi ancora Draghi – a cui aggrapparsi quando ogni fantasiosa soluzione dovesse essere evaporata. Unindeterminatezza, una ristrettezza di visione insostenibile mentre il Paese è chiamato alle gravi responsabilità della guerra in Europa e ad affrontare una complessità economico-finanziaria (la trovate illustrata qui di fianco) che sarà bene non sottovalutare.

Il giochino di ignorare i problemi e poi addossarli ad altri – c’è sempre una comoda” Europa a disposizione – non dovrebbe incantare più nessuno, ma non ci scommetteremmo e soprattutto non ci giocheremmo il nostro futuro prossimo.

Di Fulvio Giuliani

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