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Raffaele Fitto inglese

“I no speak english”: l’inglese di Raffaele Fitto (e non solo…)

Dal celebre “shock because…” di Matteo Renzi fino all’inglese “sfoderato” da Raffaele Fitto al Parlamento europeo. Sono tanti gli esempi

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“I no speak english”: l’inglese di Raffaele Fitto (e non solo…)

Dal celebre “shock because…” di Matteo Renzi fino all’inglese “sfoderato” da Raffaele Fitto al Parlamento europeo. Sono tanti gli esempi

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“I no speak english”: l’inglese di Raffaele Fitto (e non solo…)

Dal celebre “shock because…” di Matteo Renzi fino all’inglese “sfoderato” da Raffaele Fitto al Parlamento europeo. Sono tanti gli esempi

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Dal celebre “shock because…” di Matteo Renzi fino all’inglese “sfoderato” da Raffaele Fitto al Parlamento europeo. Sono tanti gli esempi

È proprio vero che conoscere le lingue apre la mente. Anzi, servisse solo a quello: aiuta a fare amicizia, a viaggiare con serenità, a trovare un buon lavoro. Ecco perché è buona cosa studiarle sin da piccoli, per quanto noioso possa sembrare. Più avanti con gli anni, quegli stessi studenti annoiati ringrazieranno i propri genitori per aver pagato loro i corsi di inglese che mal sopportavano appena poco tempo prima. È vero che non è obbligatorio parlare francese, tedesco o cinese in maniera fluente per guadagnare una buona posizione sociale o lavorativa, ma non guasterebbe di certo mandare avanti quelli che le lingue le conoscono, o almeno tenere da parte chi ancora è rimasto al «Noio vulevàn savuàr…» di Totò.

Chissà se ci avrà pensato il governo italiano nel proporre Raffaele Fitto come commissario europeo. Politico di lungo corso, non si discute, in questi giorni è stato al Parlamento europeo per i confirmation hearings, i colloqui che i nuovi membri della Commissione europea hanno con i parlamentari europei prima della loro nomina ufficiale. Arrivato il suo turno, il futuro commissario per la Coesione e le riforme ha sfoderato il suo inglese migliore leggendo un discorso: nessun errore grammaticale, ma la pronuncia è stata imbarazzante abbastanza da far girare le immagini in Rete. Ascoltare per credere.

La prima naturale reazione è farsi una risata. Il problema è se non scatta la seconda: se non indignazione, almeno fastidio. Possibile che l’Italia non sia riuscita a trovare un candidato che avesse la stessa esperienza politica di Fitto e che conoscesse l’inglese a sufficienza da sostenere un discorso senza leggerlo? Saranno anche chiacchiere da bar, ma non porsi queste domande ci ha portato negli anni a un appiattimento verso il basso da cui sarà difficile risalire.

Quando Mario Monti arrivò a Palazzo Chigi tutti rimasero stupiti nel sentirlo parlare in inglese ai vertici internazionali; lo stesso fu per Mario Draghi. Eccolo, il guaio: considerare l’inglese roba da professori e non un requisito fondamentale per poter rappresentare l’Italia nel mondo. E fa sorridere leggere notizie di politici che soltanto dopo la nomina corrono ai ripari con un corso di lingua accelerato. Una politica matura pretende dai propri candidati che questi conoscano – almeno – l’inglese, prima di nominarli ministri degli Esteri o commissari europei. Lo pretende prima, invece di congratularsi con loro se questi lo fanno dopo.

Ciò che invece non fa sorridere per niente è ricordarsi che la conoscenza delle lingue è soltanto uno dei problemi dei partiti italiani, non più in grado di trovare candidati degni della carica che andranno a ricoprire. La soluzione? Svilire la carica. Che si tratti di un Consiglio municipale o del Parlamento nazionale, la selezione dei candidati in Italia oggi è un problema. Ecco quindi che si collezionano figure di palta, come Angelino Alfano che gesticola cercando di spiegare con le mani come il vento avesse causato – solo lui sapeva come – il ritardo del suo volo aereo perché non era in grado di spiegarlo in inglese. O Matteo Renzi e il suo «Shock because…» alla Bbc parlando in inglese del dopo Brexit. O ancora, l’assistere al triste spettacolo dei nostri parlamentari europei che a Bruxelles parlano quasi solo in italiano (e no, la difesa della nostra identità nazionale non c’entra).

Chi sceglie un candidato farebbe bene a ricordarlo: non è solo una questione di brutte figure. È il rischio che dei discorsi di quei candidati nessuno ricordi nulla, se non l’inglese maccheronico. Figuriamoci il contenuto.

di Luigi Santarelli

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