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I ‘ricchi’ della legge di bilancio

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I titoloni sui ‘ricchi’ della legge di bilancio sollecitano un paio di riflessioni. La prima è sulla demagogia fiscale. L’altra riguarda la vera e propria ‘evaporazione’ dei ceti medi in termini economici e di status

I ‘ricchi’ della legge di bilancio

I titoloni sui ‘ricchi’ della legge di bilancio sollecitano un paio di riflessioni. La prima è sulla demagogia fiscale. L’altra riguarda la vera e propria ‘evaporazione’ dei ceti medi in termini economici e di status

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I ‘ricchi’ della legge di bilancio

I titoloni sui ‘ricchi’ della legge di bilancio sollecitano un paio di riflessioni. La prima è sulla demagogia fiscale. L’altra riguarda la vera e propria ‘evaporazione’ dei ceti medi in termini economici e di status

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I titoloni sui ‘ricchi’ della legge di bilancio sollecitano un paio di riflessioni. La prima è sulla demagogia fiscale. L’altra riguarda la vera e propria ‘evaporazione’ dei ceti medi in termini economici e di status.

I numeri sul taglio delle aliquote di Giorgetti (13,6 milioni di interessati, pari al 32% dei contribuenti, di cui 8,2 lavoratori dipendenti) sono inattaccabili. Ma c’è sempre chi fa il difficile. Tra questi il presidente dell’Istat Chelli, con un ragionamento viziato però da pregiudizi ideologici. In un sistema progressivo è infatti lapalissiano (per non dire banale) che il taglio delle aliquote ‘favorisce’ o, meglio, ‘toglie di meno’ ai redditi man mano che crescono. Anche perché quelli più bassi avevano già goduto del taglio strutturale del cuneo fiscale.

I dati dell’Istat, confermati anche dall’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb), denunciano che la manovra favorisce i ‘ricchi’. Tra i lavoratori dipendenti il beneficio medio del taglio è pari a 408 euro per i dirigenti, 123 per gli impiegati e 23 per gli operai. Per gli autonomi è di 124 euro e di 55 per i pensionati. Ecco allora l’inquietante domanda: l’Upb e l’Istat si sono iscritte alla Cgil? Basta continuare a leggere il testo dell’audizione per rimettere le cose sul giusto binario.

L’analisi dell’Upb indica che i diversi interventi sull’Irpef degli ultimi sei anni hanno accresciuto la progressività del prelievo e le differenze di trattamento tra categorie di contribuenti, oltre a rendere il sistema più complesso per i lavoratori dipendenti. Gli interventi degli ultimi tempi hanno favorito in misura maggiore i redditi bassi e medi, soprattutto da lavoro dipendente, mentre ora la misura prevista avvantaggia (o toglie meno) principalmente le fasce medio-alte ed elevate.

Quindi per i lavoratori dipendenti la riforma opera in modo complementare, riducendo il divario nelle fasce dove gli interventi precedenti avevano prodotto effetti più contenuti. Per i pensionati e i lavoratori autonomi il disegno di legge di bilancio (Ddlb) si sovrappone invece alle precedenti, determinando un ulteriore incremento dei benefici nelle stesse fasce. Ma questo è un modo per fare equità. Da anni i percettori di un reddito superiore a 35mila euro sono stati definiti “ricchi per legge”, nel senso di venire esclusi da tutti i benefici (se pensionati, hanno visto manomettere la rivalutazione) nonostante siano loro a pagare la quota Irpef prevalente.

Tali riforme nel periodo 2021-26 hanno accresciuto la progressività dell’Irpef e aumentato la capacità redistributiva del sistema. Confrontando l’imposta dovuta nel 2026 (applicando quanto proposto nel Ddlb) con quella che si sarebbe pagata se dal 2021 si fosse meramente indicizzato il sistema fiscale, è possibile identificare effetti e vantaggi. Le regole che entrerebbero in vigore nel 2026 consentirebbero di più che compensare gli effetti del drenaggio fiscale per i redditi da lavoro dipendente fra i 10 e i 32mila euro: il sistema post riforma Ddlb determina aliquote medie inferiori (di circa 2-3 punti percentuali) a quelle che si sarebbero registrate con la semplice indicizzazione del sistema 2021.

Per lo scaglione 32-45mila euro la compensazione sarebbe parziale. Per i redditi superiori a 45mila euro la differenza tra i due sistemi diventa gradualmente trascurabile. Invece per pensionati e lavoratori autonomi le riforme hanno portato limitati vantaggi, con un recupero del drenaggio fiscale solo parziale fino ai 40mila euro.

Del resto era stato dichiarato che questa manovra avrebbe dovuto tutelare i ceti medi. Giorgia Meloni, con fiuto da politico consumato, ha capito che il ceto medio è stato messo in cura dimagrante ed è intervenuta. Ma nel Paese c’è una diffusa percezione di ‘arretramento’ delle coorti intermedie socioculturali, dovuta alla polarizzazione della società. Per dirla con i sociologi, la vecchia piramide del reddito nei decenni è prima diventata ‘salvadanaio’ e poi ha assunto un profilo slim a clessidra.

di Giuliano Cazzola e Franco Vergnano

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