Identità
Va bene che l’identità la si aggiorni con cautela, ma se non la si afferma quando si è forti poi tutto rincula e s’è spinti al richiamo dei ferri vecchi. Magari dorati, ma sotto la patina sottile già si scorge la ruggine
Identità
Va bene che l’identità la si aggiorni con cautela, ma se non la si afferma quando si è forti poi tutto rincula e s’è spinti al richiamo dei ferri vecchi. Magari dorati, ma sotto la patina sottile già si scorge la ruggine
Identità
Va bene che l’identità la si aggiorni con cautela, ma se non la si afferma quando si è forti poi tutto rincula e s’è spinti al richiamo dei ferri vecchi. Magari dorati, ma sotto la patina sottile già si scorge la ruggine
Tutta la faccenda dell’oro detenuto dalla Banca d’Italia (di cui ci siamo già occupati) è talmente priva di senso da dovere necessariamente avere un altro senso. Quell’oro è certamente dell’Italia, mentre volere affermare per legge che appartiene al popolo italiano è di una tale rozzezza giuridica che imporla per non cambiare niente desta il sospetto che si nasconda un secondo fine. Ho l’impressione però che non si nasconda molto, che la tesi secondo cui in Banca d’Italia ci siano capitali privati e stranieri che possano decidere in autonomia è ridicola e che, anzi, si cerchi di far circolare l’impressione che chi governa non abbia cambiato identità e sia ancora in grado di usare le scombiccherate suggestioni di un tempo.
Purtroppo questo improvvido esercizio identitario coincide nel tempo con l’emergere di contraddizioni ben più preoccupanti. La tesi sostenuta da Meloni e dai suoi è che loro non sono mai stati antieuropeisti (noi ricordiamo che volevano l’uscita dall’euro…) ma alfieri di un’Europa diversa. Che, di suo, significa poco. Meloni ha detto – e merita che le si creda – che è sempre stata favorevole alla difesa comune europea: una delle cose più europeiste che esistano, visto che presuppone la messa in comune anche della politica estera. E alla terza legge di bilancio il governo in carica conferma l’indubbio merito europeista di avere operato rispettando i vincoli di bilancio. Bene, non c’è bisogno che abiurino il passato in modo esplicito, se proprio non ci riescono (del resto è un difetto condiviso: chi fu comunista non ha mai detto di essersi sbagliato).
Poi però se ne escono con la faccenda dell’oro, che sembra fatta apposta per rinfrescare tutti i dubbi e tutti i pregiudizi. E mentre insistono capita che il barcamenarsi fra gli interessi vitali europei e gli interessi degli americani – mortiferi per gli europei – produca non una duplice affidabilità ma una condivisa diffidenza.
Al gruppo dei Volenterosi (ovvero la sola cosa che esista della difesa europea) si partecipa per telefono e ci si guarda dall’identificarvisi. Si ribadisce sia l’atlantismo che il sostegno all’Ucraina, ma nel fondo Purl della Nato non si entra. Il decreto per i nuovi aiuti si dice che ci sarà, ma lo si rinvia in attesa di non si sa cosa. E non bastasse tutto questo, dagli Stati Uniti diffondono documenti non ufficiali in cui si pensa di usare l’Italia, la Polonia, l’Ungheria e forse l’Austria in chiave eurodistruttiva, oltre a finanziare tutti i camerati in attività.
L’ultimo punto meriterebbe un ripasso della storia patria, visto che l’Unità si fece in dialogo serrato con gli europei che si abbandonerebbero. La cosa ha un peso, specie se ci si definisce “patrioti” (e certi risentimenti anti francesi o anti inglesi hanno le loro radici antiche proprio fra le correnti contrarie all’Unità d’Italia). Fu così allora, fra Mazzini e Cavour; lo fu, sfortunatamente, con il fascismo; lo fu con la nascita della Repubblica e la scelta atlantica; lo fu dopo il crollo sovietico e lo è oggi: il discrimine è nella politica estera. E le due false coalizioni contrapposte sono polverizzate dalla politica estera, proprio perché su quella spaccate.
Per carità, non servono proclami. Servono scelte e atti. È comprensibile che ci si tenga in equilibrio, è folle tenersi in bilico. Quando questa stagione sarà chiusa ci saranno europei più armati, anche di nucleare. Il tempo per esserne parte è ora, non poi.
Ieri due segnali hanno dato il senso degli affari domestici: a. il decreto “Milleproroghe”, che è consolidata usanza da lustri e che si dovrebbe chiamare “Millesconfitte” per il guazzabuglio di problemi irrisolti e manco affrontati, quindi prorogati; b. il pacchetto di emendamenti concordati dal governo sul disegno di legge presentato dal governo. Due segni di galleggiamento senza rotta e nocchiero. Due prodotti di una cucina senza sugo e sapore, nutrimento del trascinamento.
Va bene che l’identità la si aggiorni con cautela, ma se non la si afferma quando si è forti poi tutto rincula e s’è spinti al richiamo dei ferri vecchi. Magari dorati, ma sotto la patina sottile già si scorge la ruggine.
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