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Ignazio La Russa

Ignazio La Russa, l’uomo della previdenza

Ignazio La Russa, da trent’anni in Parlamento, sa che fidarsi è bene ma non fidarsi è meglio. E così in vista dell’elezione alla presidenza del Senato è corso ai ripari all’insegna del melius abundare quam deficere
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Ignazio La Russa, l’uomo della previdenza

Ignazio La Russa, da trent’anni in Parlamento, sa che fidarsi è bene ma non fidarsi è meglio. E così in vista dell’elezione alla presidenza del Senato è corso ai ripari all’insegna del melius abundare quam deficere
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Ignazio La Russa, l’uomo della previdenza

Ignazio La Russa, da trent’anni in Parlamento, sa che fidarsi è bene ma non fidarsi è meglio. E così in vista dell’elezione alla presidenza del Senato è corso ai ripari all’insegna del melius abundare quam deficere
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Ignazio La Russa, da trent’anni in Parlamento, sa che fidarsi è bene ma non fidarsi è meglio. E così in vista dell’elezione alla presidenza del Senato è corso ai ripari all’insegna del melius abundare quam deficere

Di Ignazio La Russa si può dire quello che Indro Montanelli diceva di Giulio Andreotti: non sarà l’uomo della Provvidenza, questo no, ma della previdenza lo è di sicuro. Da trent’anni in Parlamento, sa che fidarsi è bene ma non fidarsi è meglio. E così in vista dell’elezione alla presidenza del Senato è corso ai ripari all’insegna del melius abundare quam deficere. Già, perché quei 17 senatori dell’opposizione che hanno bravamente sostituito i 16 mancanti di Forza Italia non sono manna piovuta dal cielo. No, sono stati raccolti a uno a uno. L’arcano lo ha spiegato lo stesso La Russa: «Un po’ per mia amicizia, un po’ per Giorgia, un po’ sperando in qualcosa». Ecco, se Matteo Renzi otterrà per uno dei suoi una vicepresidenza del Senato, avrà apposto la sua firma sul voto segreto.

Siamo partiti da qui a ragion veduta. Perché la defezione dei 16 senatori berlusconiani – ma stranamente il Cav e la Casellati per amicizia si sono dissociati (sic!) dal gruppo – è stata la pietra dello scandalo. A un Berlusconi irridente nei confronti della presidente di Fratelli d’Italia, costei non ha evangelicamente mostrato l’altra guancia. Per cominciare, ha detto che lei non è ricattabile. Intelligenti pauca. E poi ha minacciato di escludere dal governo tutti i senatori di Forza Italia che non hanno votato quel La Russa che un decennio fa con un atto tanto generoso quanto lungimirante fece un passo di lato e incoronò una giovanissima Giorgia Meloni presidente del partito.

Si vis pacem, para bellum. E così dopo che tutto sembrava perduto – tanto che si è ipotizzato un mandato esplorativo a La Russa qualora Berlusconi tenesse il punto – è scoppiata all’improvviso la pace. Come se non fosse accaduto nulla di nulla. Un miracolo? Non proprio. La verità è che si sono misurate, al di là dei caratterini dei due, opposte filosofie. Da una parte Berlusconi intendeva rispolverare il manuale Cencelli, del quale è una caricatura la storiella su Bettino Craxi che, appresa la notizia del colpo di Stato dei colonnelli, imperturbabile domanda quanti ne spettino al partito. Dall’altra la Meloni si è attestata sul “manuale” Draghi. Secondo il quale tutti i partiti della futura coalizione hanno il diritto-dovere di mettere sul tavolo i pezzi più pregiati dell’argenteria di famiglia. Ma poi la sintesi spetta al presidente del Consiglio incaricato, che se del caso dirà no a improbabili Toninelli, da Giorgia evocato, e nelle caselle eventualmente rimaste vuote designerà dei tecnici. D’area o meno che siano. Che poi è quanto prevede l’articolo 92 della Costituzione, ‘riscoperto’ per l’appunto da Draghi.

Ieri l’incontro tra Berlusconi e la Meloni in quella via della Scrofa sede di Fratelli d’Italia e per molti anni – ironia della storia – tana di Gianfranco Fini. A questo punto la formazione del governo, se Sergio Mattarella non muoverà obiezioni, sembrerebbe alle viste. A ogni buon conto, Meloni dispone di un’arma segreta. Se tutto dovesse andare a scatafascio, in mancanza di alternative si andrebbe di nuovo alle elezioni. E Meloni con buone probabilità farebbe cappotto.

di Paolo Armaroli

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