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Il fascismo e l’Italia cambiata

L’Italia è cambiata ma il fascismo è storia ancora marcia. Nel senso di marcita. Ancora da digerire.
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Il fascismo e l’Italia cambiata

L’Italia è cambiata ma il fascismo è storia ancora marcia. Nel senso di marcita. Ancora da digerire.
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Il fascismo e l’Italia cambiata

L’Italia è cambiata ma il fascismo è storia ancora marcia. Nel senso di marcita. Ancora da digerire.
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L’Italia è cambiata ma il fascismo è storia ancora marcia. Nel senso di marcita. Ancora da digerire.
Il ricorrere del centenario della Marcia su Roma, all’indomani dell’insediarsi di un governo di destra, può indurre alla peggiore tentazione: parlare di ieri per farlo pesare oggi. Invece si deve parlarne guardando al futuro. Frugando nella nostra storia per agguantarne la parte viscida e ripugnante, che non ha cessato d’essere presente. Quindi liquidiamo subito il presente, per poi passare a quel che conta: il permanente. Sostenni, come altri, che l’eventuale vittoria elettorale della destra non sarebbe stato il preludio ad alcun regime. Destra e sinistra si sono reciprocamente rimproverate, per lustri, di volerne costruire uno, dimostrando solo di non avere altri argomenti da spendere. Dopo l’esito elettorale, il 16 di ottobre – giorno in cui, nel 1943, gli italiani ebrei furono rastrellati a Roma e inviati alla morte, sorte che subirono tanti altri, tutti traditi come nostri concittadini e non pochi di loro traditi anche come fascisti – l’onorevole Meloni disse due cose: a. quella vergogna non si cancellerà mai; b. la sua matrice era nazifascista. Nel discorso parlamentare per la fiducia, il 24 dello stesso mese, aggiunse di non avere mai avuto alcuna simpatia per le dittature, fascismo compreso. Magari poteva dirlo prima. Si può non condividere una parola di quel che dice e non una cosa di quelle che farà, ma su quel delicato fronte considero chiusa la partita che la riguarda. Ma non lo è per l’Italia e non lo è per il tempo successivo al regime fascista, che svergognò e distrusse la Patria. Non lo è perché aveva capito tutto un giovane, che oggi considereremmo quasi un ragazzino, uno che ebbe il coraggio di opporsi e che fu massacrato dai picchiatori fascisti, causandone la morte: Piero Gobetti. Vide che il fascismo era «l’autobiografia della Nazione». E una biografia non si cambia, come non si cambia la storia. L’Italia è cambiata, siamo molto più ricchi, viviamo bene come mai si visse, in salute e longevità come mai prima, ma anche il non saperlo riconoscere è segno che il Dna non è cambiato. Il fascismo fu violenza anche prima di divenire regime, fu violenza prima della Marcia su Roma, fu violenza e omicidi anche prima dell’assassinio di Giacomo Matteotti (che non fu eliminato perché oppositore, ma perché aveva le carte che dimostravano la corruzione di Mussolini, dalle cui tasche non caddero soldi, quando morì, sol perché li aveva messi altrove). Ma, a parte le varie e caleidoscopiche origini, il fascismo non fu solo violenza. Non con quella conquistò un consenso vastissimo, di cui la nostra biografia resta colpevole. Fu dell’altro. Dobbiamo a Carlo Emilio Gadda una descrizione, contemporanea, che lo rende italico nel suo sudiciume morale. Descrisse Mussolini, allora acclamato quale “duce” secondo i grotteschi dettami dannunziani, quale «Priapo Maccherone Maramaldo» e anche «Gran Somaro Nocchiero». Un demagogo somaro e maramaldo. I suoi accoliti entusiasti non erano patrioti ma «li associati a delinquere cui per più d’un ventennio è venuto fatto di poter taglieggiare a lor posta e coprir d’onte e stuprare l’Italia, e precipitarla finalmente in ruina». Li vide nella loro crassa miseria immaginando il funerale di un loro camerata ove, dopo avere urlato «Presente!», neanche finito il rito «che già e’ siedevano a tavola, co’ i’ grifo sui maccheroni. Da imbrodolarsi il grugno di tutte salse». L’Italia invidiosa e rancorosa, sedotta per potere tradire, vile con chi può aggredire senza doverne avere il coraggio, rabbiosa con chi sa perché pregna d’ignoranza. Quella roba c’è ancora. Assieme all’altra, certo. Ma c’è. Non ci sono ex gerarchi fra i viventi e, del resto, la Costituzione ne stabilì l’esclusione dalla vita politica per cinque anni. Scaduti nel 1953. Ma ci sono quelli che tengono il testone del Priapo Maccherone Maramaldo, allevati nel culto del falso e, quindi, dell’avversità alla libertà e alla democrazia. La loro colpa – che c’è ed è grande – non è connivenza con il regime, che non vissero, ma con la sua tarocca apologia, che perpetuarono. E facendolo aizzarono una manica d’assassini neri che se la videro con gli assassini rossi, parimenti allucinati, parimenti nemici della democrazia, parimenti avversi alle democrazie occidentali. E questa è storia ancora marcia. Nel senso di marcita. Ancora da digerire, perché i presenti in quella crebbero. Di Davide Giacalone

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