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Il golpe fascista del partigiano antifascista

Nell’agosto del 1974, il giudice istruttore Luciano Violante fa arrestare Edgardo Sogno, il vero ideatore del ‘golpe’

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Il golpe fascista del partigiano antifascista

Nell’agosto del 1974, il giudice istruttore Luciano Violante fa arrestare Edgardo Sogno, il vero ideatore del ‘golpe’

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Il golpe fascista del partigiano antifascista

Nell’agosto del 1974, il giudice istruttore Luciano Violante fa arrestare Edgardo Sogno, il vero ideatore del ‘golpe’

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Nell’agosto del 1974, il giudice istruttore Luciano Violante fa arrestare Edgardo Sogno, il vero ideatore del ‘golpe’

Nell’agosto del 1974 il giudice istruttore Luciano Violante aprì un’inchiesta su un tentativo di golpe ‘bianco’ (così detto perché senza spargimento di sangue). Istruttoria che due anni dopo avrebbe portato in carcere – seppure solo per un mese e mezzo, assieme a Luigi Cavallo – Edgardo Sogno: «Il vero ideatore del ‘golpe». ‘Golpe’ (doveroso ricorrere alle virgolette: se l’italiano lo consentisse, ce ne vorrebbero di più) di fatto inesistente.

E insomma, perché mai l’allora giovane giudice istruttore Luciano Violante – nonché futuro presidente della Camera – s’era alzato una mattina con l’idea di far arrestare quel vecchio partigiano monarchico? «Per dovere, perché c’erano indizi di reato». Fatto è che sarebbe finito tutto nel nulla. Rimarrà nell’aria solo quel ‘perché?’.

Fino a quel momento, a far data dalla strage di piazza Fontana, il Paese era stato segnato da un attacco concentrico contro lo Stato da destra e da sinistra. Se, con la sostanziale collaborazione di parte dei Servizi, la destra eversiva aveva inaugurato la stagione delle stragi (e fra maggio e agosto di quel 1974 assai affollato di avvenimenti ce n’erano state due: una a Piazza della Loggia a Brescia e una sull’Italicus, alle porte di Bologna), la sinistra sovversiva – anche grazie alle sempre utilissime ‘distrazioni’ di quei Servizi – aveva alzato il tiro, fino a rapire un giudice (Sossi, a Genova) e a compiere i primi omicidi (Giralucci e Mazzola nella sede del Msi di Padova). A Torino, come in tutto il Nord del cosiddetto triangolo industriale, c’era la guerra. Una guerra non dichiarata, ma che faceva lo stesso morti e feriti. I nemici della Repubblica – per dirla con l’indovinato titolo di un libro di Vladimiro Satta – avevano alzato il tiro.

In questo panorama – dove si spintonavano pretendendo ribalta figure e figuri usciti dal mazzo della Storia e poi ricordati per cronache non di rado risibili – emersero d’improvviso i tratti di un uomo i cui contorni erano stati disegnati durante la Resistenza. Un partigiano monarchico: Edgardo Sogno. Un partigiano della libertà sostenuto da una fede che lo distanziava specularmente da fascismo e comunismo. Aveva combattuto il fascismo fucile in spalla. Avrebbe fatto lo stesso con il comunismo, se gli epigoni di Stalin avessero conquistato il potere in Italia. Il sogno di Edgardo non era dunque quello di rovesciare lo Stato democratico per ripristinare un regime fascista (come qualcuno ha scritto e continua a scrivere per dolo o per ignoranza), ma quello di combattere le due ideologie che avevano segnato il Novecento.

Ma chi era in realtà questo improbabile ‘golpista bianco’ che qualcuno aveva accostato a De Gaulle? Era un personaggio un po’ dandy, un aristocratico legato a gerarchie militari di rilievo, alla monarchia sabauda, all’imprenditoria protagonista del ‘miracolo italiano’ con un boom economico senza pari al mondo (in primis quella degli Agnelli), a una borghesia sempre più impaurita e a quegli americani per i quali tifava in una Guerra fredda sempre più calda.

Uscita dalla lunga stagione del professor Valletta (quello che aveva detto: «Aspettavamo braccia, sono arrivati uomini»), la Fiat era entrata con l’Avvocato in autunni altrettanto caldi come la suddetta Guerra fredda. E quel ‘combattente’ per la libertà poteva rappresentare un valido paladino agli occhi degli anticomunisti organizzati da Umberto Agnelli nella Fondazione di famiglia. Sogno e il suo gruppo di Pace e libertà erano insomma ‘una risorsa’. Da utilizzare alla bisogna (una filosofia politica che riverberava un cinismo di stampo giolittiano).

Una risorsa ‘dormiente’ che tale sarebbe sempre rimasta se Violante non l’avesse bruscamente svegliata col tintinnio delle manette la mattina del 5 maggio 1976, al termine dell’inchiesta aperta nell’agosto di due anni prima. La conseguenza – l’unica – fu che mentre la figurina di Sogno rientrava nel mazzo delle carte della Storia d’Italia, quella di Violante ne usciva con una scopa che l’avrebbe condotto fino al soglio della presidenza della Camera.

di Pino Casamassima

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