L’asprezza del linguaggio in politica è stata una caratteristica dei principali movimenti rivoluzionari del Novecento, dal fascismo al comunismo. Di recente, invece, due fenomeni politici l’hanno usata a modo loro: il leghismo e il grillismo.
Domani saranno gli 80 anni di Umberto Bossi, il leader della Lega che di parole dure ne ha dette molte. Ricordiamo un famoso intervento contro Margherita Boniver che aveva accennato al sentore d’una Lega in armi. «Cara Boniver, cara bonazza nostra – le replicò Bossi dal palco di un comizio – la Lega non ha bisogno di armarsi, noi siamo sempre armati, a bona, di manico». Era il 1993. Anni dopo arriveranno Beppe Grillo e i vaffanculo.
Oggi sta impazzando la polemica per una frase di un leghista di Voghera su una chat privata: «Qui bisogna sparare» ha scritto riferendosi al tema immigrazione. Gian Marco Centinaio, parlamentare della Lega, ha sottolineato che «la frase è grave, e più ancora a livello morale che politico perché chi fa politica deve rendersi conto che quando parla o scrive ha delle responsabilità, anche quando magari fa battute. C’è un’etica da rispettare anche se scrivi al tuo migliore amico». Parole di responsabilità, le sue. A cui aggiungiamo una postilla: in questi tempi politicamente corretti, dove il linguaggio è un sorvegliato speciale, se diamo alla politica il compito morale di abbassare i toni, beh allora sarebbe pure il caso di finirla con il chiamare omofobo chiunque critichi il ddl Zan. Che il buonparolismo sia uguale per tutti.
di Aldo Smilzo
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