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Il lobbismo trasparente richiede regole chiare

Nella prima seduta dell’anno alla Camera è stata, per la prima volta, discussa in aula una proposta di legge che punta a disciplinare le attività di rappresentanza di interessi. L’epoca Draghi segna così un altro traguardo, abbattendo un tabù che resisteva da decenni.
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Il lobbismo trasparente richiede regole chiare

Nella prima seduta dell’anno alla Camera è stata, per la prima volta, discussa in aula una proposta di legge che punta a disciplinare le attività di rappresentanza di interessi. L’epoca Draghi segna così un altro traguardo, abbattendo un tabù che resisteva da decenni.
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Il lobbismo trasparente richiede regole chiare

Nella prima seduta dell’anno alla Camera è stata, per la prima volta, discussa in aula una proposta di legge che punta a disciplinare le attività di rappresentanza di interessi. L’epoca Draghi segna così un altro traguardo, abbattendo un tabù che resisteva da decenni.
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Nella prima seduta dell’anno alla Camera è stata, per la prima volta, discussa in aula una proposta di legge che punta a disciplinare le attività di rappresentanza di interessi. L’epoca Draghi segna così un altro traguardo, abbattendo un tabù che resisteva da decenni.

Alzi la mano chi, almeno una volta nella vita, non abbia sentito pronunciare la parola lobby (nelle sue varie declinazioni) in senso negativo.

In Italia, a causa dell’atavica avversità nei confronti del mondo imprenditoriale, del libero mercato e della prosperità altrui, tutto ciò che riguarda il variegato mondo degli interessi di parte è concepito come sinonimo di malaffare. Per questo motivo, nonostante decine di tentativi nel corso dei lustri, una qualsiasi proposta che intendesse regolamentare e portare allo scoperto le pubbliche relazioni istituzionali veniva puntualmente insabbiata ben prima di varcare la soglia dell’emiciclo parlamentare. I partiti hanno sempre preferito mantenere le interlocuzioni con i soggetti esterni alle istituzioni nel cono d’ombra dell’attività politica, sia per non ingenerare il sospetto che si tenessero dubbie commistioni con il mondo degli affari, sia per non dover rendere noti quei legami che venivano relegati alla discrezionalità ‘privatistica’ dei singoli politici. In assenza di una legge che obblighi a mantenere una condotta trasparente, non esiste neppure il dovere di rendere noti gli appuntamenti della propria agenda o divulgare gli argomenti delle amabili conversazioni intrattenute con chicchessia; al massimo si potrebbero formulare ipotesi e congetture difficili da dimostrare alla prova dei fatti. Tuttavia, anche se questi dialoghi sono celati al corpo elettorale, difficilmente qualcuno davvero ignora – o non intuisce – come i politici di ogni livello siano messi a parte di molteplici problemi e intrattengano relazioni con tantissimi membri della società civile, ognuno interessato a far conoscere la propria opinione in merito all’attività legislativa.

Nelle democrazie occidentali i gruppi economici così come i portatori di interessi di ogni tipo (da quelli umanitari a quelli dei consumatori) si avvalgono di professionisti, i lobbisti appunto, per tessere quei legami utili a perorare le proprie cause.

Essi sono il trait d’union tra il mondo della politica e la società civile: non tutti possono disporre di un proprio rappresentante eletto e utilizzano questo sistema per dialogare con il decisore pubblico e influenzarne le scelte. Tutto ciò alla luce del sole. Nella prima seduta dell’anno alla Camera è stata, per la prima volta, discussa in aula una proposta di legge che punta a disciplinare le attività di rappresentanza di interessi. L’epoca Draghi ha segnato un altro traguardo, abbattendo un tabù che resisteva da decenni.   Di Stefano Musu

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