Il nuovo governo della Meloni tra alleanze e trappole
In una democrazia non si comanda ma si governa. Giorgia Meloni farà la storia non per essere la prima donna e di destra ma se saprà usare il consenso raccolto al servizio dell’Italia.
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Il nuovo governo della Meloni tra alleanze e trappole
In una democrazia non si comanda ma si governa. Giorgia Meloni farà la storia non per essere la prima donna e di destra ma se saprà usare il consenso raccolto al servizio dell’Italia.
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Il nuovo governo della Meloni tra alleanze e trappole
In una democrazia non si comanda ma si governa. Giorgia Meloni farà la storia non per essere la prima donna e di destra ma se saprà usare il consenso raccolto al servizio dell’Italia.
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In una democrazia non si comanda ma si governa. Giorgia Meloni farà la storia non per essere la prima donna e di destra ma se saprà usare il consenso raccolto al servizio dell’Italia.
Avere la maggioranza assoluta degli eletti impone alla destra di formare il governo. Hanno il diritto-dovere di governare. L’interesse nazionale è sempre che il governo funzioni. Quella forza parlamentare, però, comporta anche una trappola. Più se ne ha e meno ci si ricorda di quali siano i suoi limiti.
La coalizione vincente ha forti differenze al suo interno. Il governo Meloni prenderà forma nella seconda metà di ottobre, il tempo intermedio sarà quello dello scontro nella coalizione, il tempo successivo sarà quello dei conti con la realtà. E la prima realtà con cui fare i conti è quella del consenso.
In una democrazia non si comanda ma si governa. E governare significa compiere delle scelte essendo capaci di costruire il consenso attorno a quelle. Sia il non scegliere che il compiere scelte solo per il consenso (vedi bonus e soldi regalati) non è governare ma sgovernare. Il consenso raccolto con le elezioni è determinante ai fini delle maggioranze parlamentari, ma per governare veramente occorre rigenerarlo di continuo.
Anche perché la destra ha vinto per suicidio della sinistra: il quadruplicarsi dei voti a Fratelli d’Italia non è la crescita dei voti al centro-destra – che rimangono stabili – ma una redistribuzione interna. Significa che la maggioranza dei voti espressi non è andata alla destra, il cui consenso (se si mettono nel conto gli astenuti) si riduce a un terzo degli italiani. Per giunta il voto dei giovani, che si sono astenuti più dell’insieme degli elettori, è andato principalmente ad Azione, il che segnala un distacco generazionale. Dimenticare che il consenso di cui si dispone non è il trionfo ora celebrato e dimenticarsi che va rinnovato è una trappola. Se ci si cade ci si paralizza.
La prima conseguenza di questo è che saggezza suggerisce di avviare subito il confronto parlamentare sul tema delle riforme costituzionali. Non perché la Costituzione sia “vecchia” (che bischerata: è del 1948, quella statunitense del 1788 ed è stata cambiata, con emendamenti, meno della nostra) o perché l’Italia di oggi non sia quella di allora (i princìpi e i valori non cambiano), ma perché la sinistra l’ha cambiata e scassata nel 2001. Nel porre rimedio si possono affrontare anche altri aspetti. Ma se si vuole ragionare di una RiCostituente, allora non c’è maggioranza che tenga: si deve dialogare con tutti e scegliere di farlo in una sede apposita. Le forze che saranno all’opposizione e che si rifiutassero al dialogo non sarebbero più oppositrici ma meno serie e credibili.
L’opposizione sarà irresponsabile se sceglierà di usare gli inevitabili guasti economici del 2023 per reclamare dal governo più soldi da distribuire. Al governo sarebbero degli irresponsabili se usassero quei guasti per guastare gli equilibri di bilancio. Proprio perché il lavoro è stato impostato dal governo Draghi e la sua realizzazione è nell’interesse nazionale, al governo spetterà procedere e all’opposizione non solo criticare. In quello, a parte il vitale fronte ucraino, si misurerà l’affidabilità europea. Nel nostro interesse. E, ad esempio, pensare di usare i fondi che non siamo stati capaci di spendere per compensare gli aumenti del gas può sembrare una buona idea ma è anche una figura di palta e un’attitudine mendica. Quei soldi sono garantiti da tuti i contribuenti europei, tutti pagano di più l’energia e non può essere premiato chi è stato meno capace di usarli.
Ripetono tutti che il nuovo governo lavorerà in un momento terribile. Di facile non c’è nulla, ma si troverà due anni di crescita alle spalle. La Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza, appena licenziata dal governo, specifica: +6,6% nel 2021 e +3,3% quest’anno, quindi meglio del previsto (3,1%). Deficit e debito in calo e inflazione prevista in decrescita già entro i prossimi mesi. L’anno prossimo si rallenterà, ma pur restando in crescita (+0,6%). Inoltre il governo avrà a disposizione fondi europei – da investire – quanti non ce ne sono precedentemente stati.
Meloni è nella storia per essere la prima donna e la prima di destra, ma la storia potrà farla se saprà usare il consenso raccolto per accrescerlo senza arroganza, al servizio dell’Italia, sulle scelte che si dovranno fare. L’alternativa è la solita storia: cadrà per mano dei suoi alleati, cui ha sottratto i voti.
di Davide Giacalone
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