Il piccolo reset con Elly Schlein
Sembra che l’avvento di Elly Schlein alla guida del Partito Democratico abbia provocato una tempesta politica. Ma non è esattamente così
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Il piccolo reset con Elly Schlein
Sembra che l’avvento di Elly Schlein alla guida del Partito Democratico abbia provocato una tempesta politica. Ma non è esattamente così
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Il piccolo reset con Elly Schlein
Sembra che l’avvento di Elly Schlein alla guida del Partito Democratico abbia provocato una tempesta politica. Ma non è esattamente così
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Sembra che l’avvento di Elly Schlein alla guida del Partito Democratico abbia provocato una tempesta politica. Ma non è esattamente così
A giudicare da come ne parlano i media, sembrerebbe che l’avvento di Elly Schlein alla segreteria del Pd abbia provocato una vera e propria tempesta dentro il Pd e nel sistema politico italiano. Secondo questo racconto, in poche settimane la neo-segretaria avrebbe spostato quasi 2 milioni di voti, convinto migliaia di elettori a prendere la tessera del Pd, galvanizzato l’opinione pubblica progressista. Tutto vero, o non lontano dalla realtà. Ma il punto è: qual è il termine di paragone? Nelle analisi correnti si tende a usare come riferimento lo stato del Pd subito prima dell’elezione di Schlein, quando per qualche settimana era parso che il Movimento Cinque Stelle lo avesse sorpassato e si avviasse a diventare il maggiore partito di sinistra (o “percepito di sinistra”, se preferite).
Sì, effettivamente, rispetto a quel particolare momento Schlein ha fatto il miracolo. Se però come termine di paragone usiamo quello più logico, ossia il risultato delle elezioni del 25 settembre, il quadro cambia completamente. L’ultima supermedia dei sondaggi dà il Pd di Schlein al 19,7%, appena 0,6 punti al di sopra del risultato del Pd di Letta (19,1%), universalmente considerato insoddisfacente. Quanto al Movimento Cinque Stelle, i sondaggi lo danno leggermente più in salute che alle elezioni politiche, con un incremento di pochi decimali (dal 15,4 al 15,7%). In breve: la forza complessiva dei due partiti è aumentata di meno di un punto, la loro distanza reciproca è sostanzialmente invariata. Siamo dunque ampiamente all’interno del margine di errore statistico dei sondaggi: nulla prova che sia cambiato qualcosa. Inoltre, il leggero rafforzamento del duo Pd + Cinque Stelle (+0,9%) è più che compensato da una flessione di oltre un punto (-1,1%) dei partitini alleati del Pd, ossia +Europa di Emma Bonino e la lista rosso-verde di Fratoianni e Bonelli.
Adesso, però, proviamo a guardare le cose da un’altra prospettiva. E precisamente da quel che molti osservatori si attendevano in caso di vittoria di Schlein e sconfitta di Bonaccini. Quello che allora si ipotizzava era una scissione oppure un deflusso di voti verso il terzo polo. Qualcuno si era spinto a parlare di “praterie sconfinate” che si sarebbero aperte al cartello di Italia Viva e Azione, i due partiti di Renzi e Calenda. Ebbene, il fatto interessante è che non c’è stata alcuna scissione perché Bonaccini – piuttosto che lanciarsi in una nuova avventura politica – ha preferito cogestire il Pd con Schlein, assumendo la posizione di presidente del partito. Quanto al deflusso di voti, i sondaggi rivelano che dopo il successo di Schlein il terzo polo non è affatto decollato. Anzi, oggi pare raccogliere meno voti di quelli ottenuti alle elezioni politiche (7,3% contro 7,8%).
Conclusione. Il vero miracolo di Schlein non è stato di rilanciare il Pd ma di resettare il campo progressista, perturbato dall’improvvisa ascesa del Movimento Cinque Stelle, evitando di perdere voti sul versante riformista e riportando le lancette dell’orologio più o meno alla posizione che avevano assunto il 25 settembre. Rispetto ad allora, l’unico vero cambiamento è l’ulteriore rafforzamento di Fratelli d’Italia, passato dal 26 al 30%, con il conseguente avanzamento del centrodestra nel suo insieme, a dispetto di una certa flessione di Forza Italia. Un rafforzamento cui corrisponde un lieve indebolimento complessivo del campo progressista (da Fratoianni a Calenda), che sfiorava il 50% alle elezioni politiche e ora è sceso al 48%.
Visto da questa angolatura, il successo di Elly Schlein nello scongiurare la nascita di un polo liberaldemocratico appare in una luce ambivalente. Positiva, se l’obiettivo è solo quello di evitare emorragie di voti dal Partito democratico; negativa se si ritiene che, senza l’apporto dei riformisti, il campo progressista non avrà mai i consensi necessari per sfidare la destra. E se la sua fosse una vittoria di Pirro?
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