Il Presidente Mattarella ha già un insidioso problema da affrontare: una rivoluzione del Csm e della riforma della giustizia, troppo lenta se non addirittura iniqua. Perché la giustizia è di tutti, non solo delle toghe.
Sorrido all’idea del leggendario Giovanni Grasso, portavoce del presidente Mattarella, intento a disfare quegli scatoloni che una settimana fa aveva postato con un Twitter. Trasloco rinviato, in teoria per altri sette anni. Sarà comunque aiutato dai valletti del Quirinale che, efficientissimi, riposizioneranno il tutto là dove si trovava.
Sorrido meno, come cittadino, per le nuove improbe fatiche che dovrà affrontare – tra una cerimonia e l’altra, tra una consegna di onorificenze e il plauso ai nostri atleti impegnati nelle imminenti Olimpiadi a Pechino – rispetto a un grande problema che il presidente dovrà affrontare, non nel tempo ma subito. Parlo della ineludibile riforma della giustizia, che dovrà partire, obtorto collo, dalla ‘rivoluzione’, più che riforma, del disastrato Consiglio superiore della magistratura di cui Mattarella, come capo dello Stato, è il presidente.
Il cittadino che affronta ogni giorno i drammi – perché tali sono – di una giustizia farraginosa, lenta, spesso ingiusta se non iniqua, di parte e spesso mai super partes non comprende, e forse manco gli interessano, i bizantinismi giuridici. Pretende, non a torto, giudizi rapidi e sentenze «chiare e concise».
Metto le virgolette perché cito, non a caso, uno dei passaggi della relazione del primo presidente della Corte suprema di Cassazione, non più tardi di otto giorni fa, all’inaugurazione dell’Anno giudiziario, davanti allo stesso presidente Mattarella. Quel magistrato, Curzio, nominato in extremis il giorno prima dal plenum del Csm presieduto dallo stesso Mattarella, dopo la decapitazione del vertice della Suprema Corte – lo stesso Curzio e la sua vice Margherita Cassano – da parte di un organo fondamentale del nostro ordinamento quale è il Consiglio di Stato.
Il procuratore generale della Cassazione, magistrato di lungo corso, Giovanni Salvi, ammise che la magistratura deve ritrovare la fiducia dei cittadini. Al di là delle solite diatribe sindacalesi sul fatto che i magistrati siano pochi, oberati da carichi di lavoro a loro dire insostenibili: basti pensare agli oltre ottantamila ricorsi in Cassazione, compresi quelli a carattere tributario, giudicati da Curzio come non solo gravosi ma anche, spesso, inutili.
Un Csm lacerato negli ultimi due anni da feroci polemiche, basti un esempio fra tutte: quella innescata dall’ex presidente dell’Associazione nazionale magistrati, Palamara, che ha senz’altro contribuito a dare ai cittadini l’impressione di trovarsi di fronte non a un consesso di importanti esponenti di una fondamentale istituzione del nostro ordinamento repubblicano – organo di rilievo costituzionale, istituito nel lontano 1958, suddiviso in otto commissioni più una commissione bilancio e una delicata sezione disciplinare – ma a una assemblea trasformatasi a causa della politicizzazione della magistratura in una sorta di covo di vipere pronte a scannarsi tra loro per rivendicazioni di potere politico, non certo di governo autonomo della magistratura italiana.
Nei sette anni della trascorsa presidenza Sergio Mattarella ha sempre mantenuto un profilo di rigore, di rispetto e talvolta di silenzio nei confronti delle problematiche non solo del Csm ma anche del tema giustizia. Non ha svolto questo suo fondamentale ruolo di capo del Csm e quindi dei magistrati con le famose baldanze – a volte anche venate da un certo provocatorio autoritarismo – di certi suoi predecessori, penso fra tutti a Francesco Cossiga. Ma quando c’è stato bisogno non ha fatto mancare la sua autorevole voce.
Ricordo il 24 luglio 2021 quando il presidente, nel giorno del suo ottantesimo compleanno, dopo la presentazione della riforma del ministro della Giustizia Cartabia, scrisse ben due lettere di notevole rilievo, destinatari il Consiglio superiore della magistratura, il Parlamento e il governo. Ricordiamolo: il Csm di fatto bocciò con un parere molto negativo la riforma e il presidente Mattarella sollecitò l’organo autonomo dei magistrati a rallentare e a ripensare l’iter del parere che stroncava in modo netto quella riforma.
Mattarella si era congedato da un Csm diviso e lacerato dalle diverse fazioni in lotta, augurandosi che il suo successore potesse trovare un terreno più fertile e non un campo di battaglia. Il successore è lui. Dunque toccherà proprio a Mattarella, per prima cosa, risolvere la questione dell’azzeramento della Cassazione da parte del Consiglio di Stato, perché la partita non è affatto chiusa. I cittadini plaudono alla scelta del Parlamento ma chiedono, da subito, determinazione e concretezza. Il governo deve fare la sua parte ma in questo campo anche il capo dello Stato ha voce in capitolo.
Perché la giustizia è di tutti, non solo delle toghe.
di Andrea Pamparana
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Tag: politica
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