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Immigrati

Abnorme

Ha ragione il tribunale o il governo, circa il trattamento degli immigrati? Due torti non fanno una ragione, fanno un doppio torto

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Ha ragione il tribunale o il governo, circa il trattamento degli immigrati? Due torti non fanno una ragione, fanno un doppio torto

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Ha ragione il tribunale o il governo, circa il trattamento degli immigrati? Due torti non fanno una ragione, fanno un doppio torto

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Ha ragione il tribunale o il governo, circa il trattamento degli immigrati? Due torti non fanno una ragione, fanno un doppio torto

In assenza di idee, accontentatevi dello scontro. Una scatola vuota, ma chiassosa. Ha ragione il tribunale o il governo, circa il trattamento degli immigrati? Due torti non fanno una ragione, fanno un doppio torto. E un decreto – preparato ieri – non fa una legge organica.

I magistrati non dovrebbero avere neanche le chat fra colleghi. Hanno lo stesso contratto di lavoro, possono ben discutere di ferie pagate ma non di politica giudiziaria. La libertà di pensiero e di parola non si estende a consentire a un arbitro di calcio di vestire la maglia del tifoso. Può esserlo, ma se lo tiene per sé o cambia mestiere. Non possono neanche sentirsi colleghi oltre un certo limite, perché il giudice dovrà giudicare l’operato dei magistrati che lavorano in Procura; il giudice d’appello le sentenze redatte dai giudici di primo grado; la Cassazione tutti quelli che ci hanno lavorato prima. Se si esagera in colleganza, in comunanza politica e sindacale, in mailing list, l’intero costrutto istituzionale diventa una presa in giro. Una decisione perde molto del suo valore e della sua autorevolezza se adottata, nell’esercizio delle funzioni, da chi contestava la legge.

Tutto questo non autorizza il governo alla caciara avverso un’ordinanza che era così scontata da essere qui ripetutamente prevista. Creare dei centri di raccolta, per gli immigrati giunti irregolarmente, che siano collocati fuori dal territorio nazionale ha un senso e non è una ‘deportazione’ (contestazione assurda mossa dall’opposizione), però soltanto se vi si applica una giurisdizione diversa da quella nazionale. Europea sarebbe il meglio, ma è un discorso mai iniziato in tanti anni persi a discutere di impossibili redistribuzioni. Creare invece un centro all’estero per estendervi il diritto italiano – ovvero non creare una zona extraterritoriale ma rendere territoriale un lembo altrui – non serve a niente, perché succederà lì quel che già succede qui. Ed è successo. Ce ne siamo accorti tutti, mentre nessuno ne parla quando capita quotidianamente, perché non potendo aprire agli internati la porta del centro (altrimenti si sarebbero trovati in Albania) è toccato ritraghettarli.

Non paghi, sono partite le insensatezze. Il ministro Nordio – cui va la mia stima e manifesto il mio sgomento – prima dice che nel suo mondo ideale i magistrati non commentano le leggi e i politici non commentano le sentenze; poi aggiunge, senza neanche prendere fiato, che quella decisione è «abnorme». Più o meno come quel ragionare. L’ordinanza è ricorribile nei termini di legge, ma questi reciproci sconfinamenti dovrebbero essere rincorsi. Taluni si sono avventurati nel sostenere che il giudice non dovrebbe interpretare le leggi, ma non esiste applicazione senza interpretazione. Se la legge dice che si deve bloccare chi è pericoloso socialmente, tocca al giudice interpretare la sussistenza di quel pericolo. Se dice che non si può rimpatriare chi correrebbe un pericolo grave, tocca al giudice valutarlo, anche perché l’elenco dei ‘sicuri’ è colmo di eccezioni. Se, per rimediare, si rende legge l’elenco dei Paesi si entra nel temerario o nell’inutile, perché se si porta appresso le eccezioni lo fa anche per il bisogno di interpretarle, se le cancella diventa liberticida. Senza contare il conflitto con norme e sentenze europee, ovvero anche nostre e sovraordinate.

Interpretare non significa leggere nella norma quello che mi pare, ma per impedirlo sono il legislatore e il governante che devono far funzionare la giustizia, non maledirne uno specifico atto. Mentre il Parlamento non adempie, da un anno, al suo dovere di nominare un giudice costituzionale.

Il decreto legge non modifica il quadro, lavora sulla gerarchia delle fonti. Ma un decreto per opporsi a un’ordinanza è spreco d’energia, laddove dovrebbe premere l’uniformità dei pronunciamenti, per la quale cosa occorre la Cassazione e non la legislazione. Il tutto nell’assurdo di avere bisogno di più immigrati e non sapere come sceglierli fra i troppi che arrivano.

di Davide Giacalone

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