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Giorgia Meloni e quel segnale forte agli “intermedi”

Con la visita all’assemblea di Coldiretti a Milano Giorgia Meloni ha voluto dare un segnale di attenzione, saggio e comprensibile in questa delicata fase di transizione.
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Giorgia Meloni e quel segnale forte agli “intermedi”

Con la visita all’assemblea di Coldiretti a Milano Giorgia Meloni ha voluto dare un segnale di attenzione, saggio e comprensibile in questa delicata fase di transizione.
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Giorgia Meloni e quel segnale forte agli “intermedi”

Con la visita all’assemblea di Coldiretti a Milano Giorgia Meloni ha voluto dare un segnale di attenzione, saggio e comprensibile in questa delicata fase di transizione.
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Con la visita all’assemblea di Coldiretti a Milano Giorgia Meloni ha voluto dare un segnale di attenzione, saggio e comprensibile in questa delicata fase di transizione.
In giorni in cui si analizzano anche i più impercettibili movimenti dei suoi muscoli facciali, la scelta del presidente del Consiglio prossimo venturo Giorgia Meloni di farsi vedere per la prima volta in pubblico dopo le elezioni all’assemblea di Coldiretti a Milano non può essere un caso. La leader di Fratelli d’Italia ha deciso di consegnare poche, ma rilevanti indicazioni politiche a una platea di quelli che un tempo si chiamavano – tutto sommato anche adesso – “corpi intermedi”. Rappresentanze di interessi particolari più che legittimi e di indiscutibile rilievo, ma pur sempre frutto di una sacrosanta attività di lobbying. Usiamo volutamente questo termine, in Italia quasi sempre associato a una visione negativa e vagamente carbonara, proprio per sottolineare l’essenzialità del lavoro e della voce di queste rappresentanze. Eppure, compito di chi governa o si appresti a farlo non può che restare quello di valutare costantemente l’interesse generale, anche a costo di deludere a turno un corpo intermedio o un altro. In fin dei conti, è l’ingrato compito di chi si assuma la responsabilità e l’onere di indirizzare una comunità. Sempre che abbia ancora un senso – per noi ce l’ha eccome – l’impegno di stampo anglosassone a lavorare per tutti i cittadini, a cominciare da quelli che abbiano votato per altri. Tutto ciò in Italia prende il nome di “concertazione”, non esattamente un’invenzione del Terzo millennio. Fu la base ispiratrice – per esempio – del capostipite dei governi “tecnici” come li intendiamo oggi, quello presieduto nel 1993 da Carlo Azeglio Ciampi. Può essere bella e utile cosa, a patto di saper mantenere un equilibrio e un’idea in realtà piuttosto rigidi degli interessi generali. Per essere più chiari, il governo spesso si dovrà limitare a esporre le motivazioni delle proprie scelte ai “corpi intermedi” o “parti sociali” che dir si voglia, più che contrattarle una a una. Sempre che si voglia governare perché, se si vuole vivacchiare, cedere qualcosa a ciascuno è sicuramente un metodo efficace. Giorgia Meloni ha voluto dare un segnale di attenzione, saggio e comprensibile in questa delicata fase di transizione. Altri, citeremo Matteo Renzi, scelsero strade diverse chiudendo ostentatamente persino i luoghi fisici deputati per anni al confronto. In tutta franchezza e in entrambi i casi, più scena che sostanza. La valutazione e il giudizio, infatti, non potranno che dipendere dalla sostanza della responsabilità che ciascuno è chiamato a esercitare per la propria parte. Il governo più di chiunque altro. Quindi, viva la concertazione, sempre vivano il confronto e l’arricchimento anche aspri, purché onesti. Ciò di cui non sentiamo il bisogno, ora più che mai, è il costante annacquamento per interessi di parte di quelle riforme che il Paese attende per poter crescere e rispondere alla sfida della concorrenza internazionale. Anche in tempi adeguati, perché a ridurre in modo fatale l’effetto di scelte pur sagge può bastare una loro applicazione troppo lenta e prudente. Di Fulvio Giuliani

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