Italia “quietamente razzista”?
| Politica
La lettura di un pezzo del nostro Paese fatta da Enrico Mentana: l’Italia sarebbe “quietamente razzista”
Italia “quietamente razzista”?
La lettura di un pezzo del nostro Paese fatta da Enrico Mentana: l’Italia sarebbe “quietamente razzista”
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Italia “quietamente razzista”?
La lettura di un pezzo del nostro Paese fatta da Enrico Mentana: l’Italia sarebbe “quietamente razzista”
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AUTORE: Fulvio Giuliani
Interessante – e spiazzante – la lettura di un pezzo di società italiana fatta da Enrico Mentana: saremmo attraversati da una sorta di “razzismo placido“, assuefatti all’idea che determinati lavori e ruoli siano ormai esclusivamente coperti da immigrati e in special modo donne e uomini di colore. Il “razzismo placido” ci porterebbe istintivamente a considerare tutta una serie di mansioni particolarmente gravose, scomode e certo non molto remunerate una faccenda solo per immigrati. Il che certificherebbe, con la nostra indifferenza e acquiescenza, il suddetto razzismo italico in forma non violenta, ma quietamente consapevole.
Non sfugge l’acutezza del ragionamento e anche la critica severa a una società (la nostra, noi) che apparirebbe più indifferente alle fatiche, alle umiliazioni e ai ritardi che attivamente razzista. Eppure, non certo per difendere d’ufficio Italia, italiani e società del Belpaese, eviteremmo di scorgere in questi fenomeni solo e unicamente una forma di razzismo.
Nessuno nega – quante volte abbiamo dedicato anche questi spazi al tema! – gli innumerevoli casi quotidiani che semplicemente rivoltano lo stomaco. Altro è definire “placidamente razzisti“ gli italiani tout court, senza prendersi il disturbo di sottolineare quanto determinati fenomeni siano comuni a tutte le società occidentali avanzate. Tutte. Negli Stati Uniti, come in Germania, Francia, Regno Unito, Spagna, etc. quelle stesse mansioni sono occupate con percentuali identiche o ben superiori da immigrati. A New York, per fare un esempio banale, trovare un tassista americano è impossibile da decenni. Se da noi i tassisti sono ancora tutti italiani è per questioni regolamentari e normative, non certo perché siamo più o meno razzisti.
È curioso come ci si dimentichi che gli italiani emigrati in tutto il mondo per una lunghissima epoca abbiano svolto proprio quei lavori che oggi in patria sono appannaggio degli immigrati. Il che non comporta sempre e comunque razzismo. In tantissimi casi, ha rappresentato semplicemente il primo gradino di una scalata sociale impetuosa, che ha letteralmente trasformato le società dei Paesi ad alta immigrazione. Siamo partiti molto più tardi, ma accadrà anche da noi.
Tutto bene, allora, madama la marchesa? Non siamo razzisti e stop? Assolutamente no, dei rigurgiti abbiamo detto e scritto. L’evoluzione della società, però, resta un meccanismo complesso, passato in numerosi Paesi anche da quei lavori che hanno consentito agli immigrati di prima emigrazione di far studiare i propri figli, affrancandoli da lavori e mansioni faticose e modeste e proiettandoli in una nuova dimensione.
Oltre le polemiche a maggior effetto mediatico, diamo uno sguardo anche alle nostre scuole, in cui i figli degli immigrati stanno cominciando a realizzare proprio quel percorso a cui abbiamo appena fatto riferimento. Sta già accadendo sotto i nostri occhi, solo che il più delle volte ci accontentiamo di litigare sulla superficie.
di Fulvio Giuliani
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