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L’Italia, un Paese governato dall’astensione

Il 50% degli aventi diritto diserta ogni tornata elettorale ma nessuno sembra farci caso mentre montano le illusioni e i fuochi fatui in politica

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L’Italia, un Paese governato dall’astensione

Il 50% degli aventi diritto diserta ogni tornata elettorale ma nessuno sembra farci caso mentre montano le illusioni e i fuochi fatui in politica

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L’Italia, un Paese governato dall’astensione

Il 50% degli aventi diritto diserta ogni tornata elettorale ma nessuno sembra farci caso mentre montano le illusioni e i fuochi fatui in politica

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Il 50% degli aventi diritto diserta ogni tornata elettorale ma nessuno sembra farci caso mentre montano le illusioni e i fuochi fatui in politica

Il rutilante e mai domo panorama politico italiano si spinge laddove nessuno mai si era inoltrato: strumentalizzare l’astensione, piegare il non voto alle proprie specificità e convenienze. Così accade che nel caso in cui vinca uno schieramento la metà dell’elettorato che non va a votare è considerato un male necessario ma non così importante; se al contrario a vincere è lo schieramento opposto quella metà mancante è un attentato alla democrazia.

Il fatto che il 50% circa degli aventi diritto a ogni tornata elettorale diserti le urne solleva altissimi e ultra ipocriti lai e contemporaneamente sparge indifferenza e non cale: il modo migliore per non risolvere il problema. Siamo un Paese governato dall’astensione, ma invece di impegnarci in confronti e analisi possibilmente non banali e non sloganistici preferiamo chiudere gli occhi e pensare al prossimo turno, tanto da noi una campagna elettorale non si nega a nessuno e sono più frequenti le aperture di seggi qui o là che le piogge che bonificano il terreno (colpa del cambiamento climatico, ovvio, mica dei partiti che preferiscono stare a guardare).

Il risultato è che chi vince e dunque governa lo fa con il 25% dei consensi: e poi con fare compunto nei talk show ti spiegano che la democrazia è fragile. Ci sarebbe da assegnare il premio Gac (sarebbe: Grazie Al… meglio non spiegare, giusto?), ma lasciamo perdere.

Tuttavia c’è un altro dato, più inquietante. Infatti fra le conseguenze maggiormente patologiche della campagna elettorale permanente non c’è soltanto che gli elettori si stancano della corrida di fake news e vanno al mare ma anche – e qui c’entrano eccome le responsabilità dei media – che ogni scrutinio diventa una ordalia, ogni consultazione viene presentata e vissuta come l’inizio della fine (dell’avversario, of course), ogni conteggio diventa fondamentale per le sorti dell’Italia. Naturalmente non è così ma giornali, tv e social alimentano come forsennati il clima di contrapposizione e di scontro. Che poi resti un mucchio di cenere (sfidiamo a ricordare fra un paio di settimane i nomi dei vincenti) non è considerato un problema.

Con inesorabile puntualità ogni volta pagine e pagine di giornale, ore e ore di dibattito tv, milioni di post sono dedicati al tema delle alleanze larghe, strette, larghissime, inesistenti (che di tutta evidenza lasciano freddi gli elettori) piuttosto che al merito delle questioni. Forse sarebbe il caso di invertire la tendenza. Forse servirebbe fare tesoro di una lezione semplice: chi vince ha il diritto-dovere di governare e chi perde deve sgombrare il terreno preparandosi a vincere la volta successiva, sempre che convinca la maggioranza degli elettori – non esageriamo: basta appena il 25%… – a cambiare cavallo.

Per cui sarebbe auspicabile che il centrodestra si dedicasse con maggiore determinazione all’arte del governo piuttosto che dilettarsi con il vezzo del litigio un tanto al chilo e il centrosinistra – ma meglio sarebbe dire il Pd: i Cinquestelle sono un mondo a parte – bene farebbe a logorare la maggioranza sulle cose concrete e non sugli artifizi da comizio. Ben sapendo che esiste una differenza sostanziale. Bene o male (a volte malissimo) il centrodestra da trent’anni coltiva un proprio profilo di alleanza e riesce a presentarsi come tale alla competition per la vittoria. Questo perché ha una ‘visione’ (e poco importa se per molti versi la medesima ha i caratteri di mera illusione), possiede un’idea di Paese più o meno condivisa. Niente del genere vige a sinistra, dove il canovaccio preferito è andare ognuno per conto proprio ricercando la possibile egemonia (Gramsci ci perdoni) sulle astrattezze invece che su un programma di misure realistico, convincente, affidabile.

Le illusioni del centrodestra restano, quelle del centrosinistra sono fuochi fatui. Che strano Paese.

di Carlo Fusi

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