L’Autonomia differenziata e i luoghi comuni sul Sud
Sull’autonomia differenziata ci sono la grande polemica politica, le urla all’Italia spaccata, alla secessione strisciante e al centralismo burocratico che tutto soffoca
L’Autonomia differenziata e i luoghi comuni sul Sud
Sull’autonomia differenziata ci sono la grande polemica politica, le urla all’Italia spaccata, alla secessione strisciante e al centralismo burocratico che tutto soffoca
L’Autonomia differenziata e i luoghi comuni sul Sud
Sull’autonomia differenziata ci sono la grande polemica politica, le urla all’Italia spaccata, alla secessione strisciante e al centralismo burocratico che tutto soffoca
Sull’autonomia differenziata ci sono la grande polemica politica, le urla all’Italia spaccata, alla secessione strisciante e al centralismo burocratico che tutto soffoca
Sull’autonomia differenziata ci sono la grande polemica politica, le urla all’Italia spaccata, alla secessione strisciante e al centralismo burocratico che tutto soffoca. C’è lo sfinente rimpiattino, in cui da sinistra si accusa la destra di voler fare esattamente ciò che la sinistra ha cominciato a fare con la riforma del Titolo V della Costituzione (sciagurata e completata in tutta fretta sulla spinta dell’incubo del tracollo elettorale che poi arrivò).
In questo schema c’è già una secessione ed è quella di sempre fra il Nord operoso e avanzato e il Sud con il cappello in mano. Come l’ossessiva retorica dei presidenti di Regione (anche di centrodestra) e di uno stuolo di intellettuali fa apparire il Meridione.
Come se il Sud potesse solo attendere mance dallo Stato per mantenere un elefantiaco impiego pubblico, aziende partecipate o decotte. Scritto da un meridionale, una visione intollerabile.
I recenti dati dello Svimez sottolineano quanto di vitale ci sia nel tessuto imprenditoriale del Sud, con una crescita in percentuale sugli ultimi anni superiore a quella del Nord. Questo quasi non intacca le enormi differenze cementatesi in un secolo e mezzo abbondante di vita unitaria, ma dovrebbero invitare i politici del Sud a non cercare voti soltanto sulla base del piagnisteo. Prima che torni utile anche la solita balla del Sud ricco e moderno sotto i Borboni, spogliato dai cattivoni piemontesi.
Facciamo questo esempio perché crediamo che il Sud non abbia bisogno di nostalgia senza abili storici, di raccontarsi delle “verità“ prive di fondamento per rafforzare il proprio orgoglio. Quest’ultimo deve risiedere in una capacità imprenditoriale e professionale di primordine, nella consapevolezza che le tante, proprie aziende in grado di emergere a livello internazionale lo fanno dribblando svantaggi competitivi infrastrutturali pazzeschi.
Provateci voi a far partire della merce dalla Puglia o dalla Calabria e reggere nell’export la concorrenza tedesca o francese.
Quello per cui i presidenti delle Regioni del Sud dovrebbero fare fronte comune è garantire le infrastrutture senza le quali nessuno sviluppo è possibile nel mondo di oggi. Il problema reale non è vedere nell’autonomia differenziata (quando?! Campa cavallo…) il rischio di avere meno soldi ma la riserva mentale per cui – se messo davanti alle proprie responsabilità e lasciato privo del maledetto assistenzialismo – il Sud non sarebbe capace di far nulla.
Chi lo ha detto? Dov’è scritto? Perché mai dovrebbe essere vero? Sbaglieremo (crediamo di no), ma è proprio nell’assistenzialismo in quanto tale, nei soldi trasferiti senza chiederne conto e per comprare voti, tacitare le coscienze e tener buoni gli scansafatiche che si annida la perdurante, profonda tragedia del meridione d’Italia.
Chi dovrebbe farsi carico di rappresentare queste esigenze, sfuggendo alla retorica e al vittimismo facile-facile? Una delle tante domande senza risposta.
di Fulvio Giuliani
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Tag: Italia
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