L’industria del turismo
La fine dell’estate e l’inizio della ripresa lavorativa sono sempre momenti di grande fervore politico, soprattutto se alle prese con una manovra finanziaria impegnativa
L’industria del turismo
La fine dell’estate e l’inizio della ripresa lavorativa sono sempre momenti di grande fervore politico, soprattutto se alle prese con una manovra finanziaria impegnativa
L’industria del turismo
La fine dell’estate e l’inizio della ripresa lavorativa sono sempre momenti di grande fervore politico, soprattutto se alle prese con una manovra finanziaria impegnativa
La fine dell’estate e l’inizio della ripresa lavorativa sono sempre momenti di grande fervore politico, soprattutto se alle prese con una manovra finanziaria impegnativa
La fine dell’estate e l’inizio della ripresa lavorativa sono sempre momenti di grande fervore politico, soprattutto se alle prese con una manovra finanziaria impegnativa e un piano per il nuovo Patto di stabilità che vincolerà le scelte economico-finanziarie dell’Italia per ben 7 anni.
Per gli equilibri necessari alla manovra finanziaria si stanno cercando risorse in ogni anfratto delle pieghe del bilancio pubblico, recuperando anche tecniche della fraintesa spending review (fraintesa perché da noi interpretata come mera riduzione della spesa pubblica piuttosto che revisione della stessa, premiando spese più produttive a discapito delle altre) ma non si sta guardando a risorse che abbiamo in casa e che non siamo in grado di trattenere. Mi riferisco ai circa 2 miliardi di euro all’anno di mancato gettito fiscale che deriva dall’assenza di una industria turistica nazionale, che lascia oltre il 60% delle camere di albergo (Fonte: Horvath) e circa il 65% delle prenotazioni (Fonte: Blastness) alla gestione di società estere che non pagano imposte in Italia.
Qualcuno dirà che questa massiccia presenza di operatori esteri sia un vettore di investimenti e sviluppo, ma in realtà non è così. Per la gran parte dei casi si tratta di ‘brandizzazione’ di investimenti già realizzati da altri e fornitura di servizi immateriali alle gestioni alberghiere e turistiche locali. Certamente brand e servizi importanti, ma realmente così difficili da realizzare con competenze e società fiscalmente residenti in Italia? Faccio fatica a pensarlo e fortunatamente non solo io. Voglio riportarvi queste considerazioni sull’argomento: «…nell’ottica di essere più competitivi rispetto al turismo dei grandi numeri si dovrebbe favorire la creazione di grandi gruppi italiani; campioni nazionali made in Italy che sfruttino le caratteristiche positive dell’ospitalità italiana, superandone il limite della frammentazione e piccola dimensione, contribuendo a promuovere l’italianità all’estero e riuscendo così a competere nell’arena internazionale. Un campione nazionale, player mondiale, con un network di alberghi molto ampio, presente non solo in Italia, ma anche nei luoghi più frequentati del mondo, sarebbe un ottimo volano per la crescita dei flussi turistici stranieri…». Il testo è a pagina 127 dello studio sul turismo fatto da Cdp nel 2016, quando il problema era già stato individuato e se ne discuteva nell’ambito delle attività di analisi a supporto dei possibili interventi dell’istituto. Purtroppo, senza alcun seguito.
Se il rafforzamento dell’industria turistica nazionale non potrebbe essere la soluzione per il reperimento delle risorse necessarie per questa manovra finanziaria, di sicuro nell’ambito del piano per il nuovo Patto di stabilità cercare di trattenere fino a 2 miliardi all’anno di maggiori entrate fiscali potrebbe essere un’azione percorribile ed efficace. Ma quali vincoli o difficoltà impediscono di creare in Italia un operatore di dimensioni internazionali, in grado di essere il leader in Italia e di assumere progressivamente una posizione di rilievo nel mercato turistico globale, forte del fatto che l’Italian lifestyle è il contesto più desiderato nel mondo? Direi nessuno. Il capitalismo nazionale ha ben dimostrato di essere in grado di affermarsi internazionalmente in molti altri settori e quindi non sembrano esistere vincoli culturali, economici o soggezioni. Capitali esteri sarebbero certamente disponibili a partecipare a questo progetto. Ce ne sono molti e non attendono altro che una idea industriale credibile, soci e management stimato e affidabile per indirizzare i propri investimenti verso il nostro Paese.
Proprio Cdp, in funzione di ‘attivatore di progetto’, potrebbe costituire una NewCo che proceda al consolidamento dell’offerta nazionale tramite acquisizioni e affiliazioni e il raggiungimento di una dimensione internazionale. Questa NewCo potrebbe poi costituire anche un efficace driver di sviluppo territoriale di nuove destinazioni e offerta turistica nazionale, sempre con mentalità e condotta imprenditoriale e privatistica, con la realizzazione di progetti simili a quello “Costa Smeralda”, che ritengo sia stato il miglior piano di sviluppo territoriale e turistico realizzato in Italia, se non forse anche l’unico. In pratica, finalmente una vera e propria politica di sviluppo strategico del settore turistico e non più solamente di promozione disordinata dello stesso, da parte di molteplici attori.
di Paolo Rubini
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