Le parole del ministro dello Sviluppo economico Giorgetti che apre a Draghi come futuro presidente della Repubblica lasciano di sasso e meritano una riflessione.
L’equilibrio e la pragmaticità di Giancarlo Giorgetti sono in qualche misura leggendari. Rapportando il concetto di leggenda all’attuale politica in Italia e ai suoi protagonisti, s’intende.
Fatto sta che un’uscita come quella resa nota nelle ultime ore lascia di sasso. Il ministro dello Sviluppo economico, nell’annuale rito pre-natalizio di presentazione del libro di Bruno Vespa, si è lasciato andare a spericolate considerazioni fantapolitiche.
Mario Draghi, questo il succo del suo pensiero, potrebbe tranquillamente accomodarsi al Quirinale continuando a guidare-governare il Paese. Spiega il ministro:«Potremmo approdare, così, a un semipresidenzialismo di fatto».
Temiamo di non aver capito bene, anche se abbiamo capito benissimo: pur di spedire l’ex presidente della Bce sul colle più alto della Repubblica e liberare i partiti dell’uomo che ne ha certificato l’incapacità di incidere sulla realtà, si accetterebbe anche di manomettere – nei fatti, appunto – la Costituzione.
Se non fosse stato Giorgetti a esporre con nonchalance un concetto del genere ci saremmo meravigliati poco, ma se la mania di spararle grosse tocca persino lui – il mite, il riflessivo, il grande tessitore allergico ai colpi di teatro – non c’è speranza. Anzi, la speranza è che Mario Draghi resti esattamente dov’è, fino a quando sarà possibile, vale a dire il 2023. Perché oltre o in altre e fantasiose formule sarebbe un attentato allo spirito e alla lettera della Costituzione. Che non sarà la più bella del mondo, ma funziona ancora bene.
di Giulio Carta
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