La chimera della riforma della giustizia
La chimera della riforma della giustizia
La chimera della riforma della giustizia
La “Chimera” della mitologia greca era descritta dai poeti col muso di leone, il corpo di capra, la coda di drago e vomitante fiamme. Nell’accezione odierna è nient’altro che una ipotesi assurda, un vano sogno, un’utopia. E questa è la riforma della giustizia in Italia dal 1992 a oggi. E questa temo – ma ne sono certo, al punto di accettare scommesse – sarà la nuova, ennesima volta in cui in Italia non si farà una vera riforma, anzi Riforma, della giustizia.
Se andate in un bar, sulla metro, in tram e chiedete ai cittadini – che col voto dovrebbero rappresentare il popolo sovrano nel nome del quale si celebrano i processi e si emettono le sentenze – quali siano i punti dolenti della giustizia nel loro Paese, le loro risposte saranno univoche: la lentezza dei processi, l’incertezza della pena, l’idea di base che la giustizia non sia del popolo e per il popolo, ma di coloro che hanno più potere e ricchezza.
Va decisa la separazione delle carriere fra magistratura inquirente (i pubblici ministeri sostituti procuratori nelle Procure) e magistratura giudicante (quella cioè che dal giudice delle indagini preliminari ai giudici dei tribunali e delle corti, sentite l’accusa e la difesa, emettono le sentenze nei tre gradi di giudizio). Un tema che nacque quando con la riforma degli anni Ottanta scomparvero i giudici istruttori (che divennero gli attuali gip). Giovanni Falcone, spesso citato a sproposito da molti suoi autorevoli colleghi, era un giudice istruttore che parlò con chiarezza della necessità di separare le carriere fra inquirente e giudicante. Il grande professor Giuseppe Frigo, avvocato di chiara fama e poi membro della Corte costituzionale fino alla sua prematura morte, già nel 1992 definiva la separazione «un atto di civiltà giuridica». Non se ne è mai fatto nulla e, credetemi, non se ne farà nulla anche oggi.
Stiamo ancora a parlare della battaglia di Voltaire contro il fanatismo religioso e la persecuzione degli innocenti condannati. Vladimir Korolenko ha scritto: «Voltaire ha svolto un lavoro encomiabile, facendosi difensore di persone ingiustamente condannate. Senza parlare dei tanti funesti pregiudizi annientati, questa ostinata difesa di cause apparentemente senza speranza rappresenta una vera e propria impresa. Ha compreso che un uomo deve essere innanzitutto umano. Quello che è primordiale, è la giustizia». Oh, quanti politici odierni, da una parte e dall’altra, dovrebbero studiare “Il trattato sulla tolleranza” (1763). Ci dobbiamo accontentare del pur bravo Massimo Cacciari, che sul tema ha detto cose quasi scontate: «Ogni volta che si cerca di riformare la giustizia, le toghe reagiscono». In nome del popolo italiano? No, in nome di sé stessi e dei propri interessi di parte.
di Andrea PamparanaLa Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!
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