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La demagogia rende i capi dei capitanati

I leader sono all’inseguimento di un consenso emotivo e non razionale. La Politica incoerente produce un Parlamento di maggiordomi, perdendo di prestigio e quel sommo potere che la Costituzione gli riconosce.
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La demagogia rende i capi dei capitanati

I leader sono all’inseguimento di un consenso emotivo e non razionale. La Politica incoerente produce un Parlamento di maggiordomi, perdendo di prestigio e quel sommo potere che la Costituzione gli riconosce.
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La demagogia rende i capi dei capitanati

I leader sono all’inseguimento di un consenso emotivo e non razionale. La Politica incoerente produce un Parlamento di maggiordomi, perdendo di prestigio e quel sommo potere che la Costituzione gli riconosce.
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I leader sono all’inseguimento di un consenso emotivo e non razionale. La Politica incoerente produce un Parlamento di maggiordomi, perdendo di prestigio e quel sommo potere che la Costituzione gli riconosce.
Ci fu un tempo in cui alla base dell’iniziativa politica vi era una visione condivisa di quale dovesse essere lo sviluppo della società. Tale visione condivisa era il collante su cui si formavano i partiti politici e che teneva insieme uomini con convinzioni spesso diverse su come tale sviluppo dovesse essere perseguito. Il partito assumeva, quindi, una funzione superiore a quella del singolo attivista, chiamato a partecipare secondo la sua intelligenza, la sua cultura, la sua capacità amministrativa. Gli scontri fra le diverse visioni, spesso espressione di interessi diversi, avvenivano anche con ruvida durezza ma – sempre e comunque – basati sul confronto di idee, perché lo scopo della lotta politica era far prevalere il proprio modello di società, considerato giusto e idoneo al rafforzamento della libertà individuale e alla liberazione del singolo dal bisogno. Ma ci fu anche un tempo in cui alla centralità del partito si andò sostituendo la centralità del capo del partito, un tempo in cui le idee erano espresse, interpretate e attuate da un uomo solo e dalla sua corte di maggiordomi, con il popolo chiamato a osannarne le decisioni. Quello era il tempo delle dittature, dittature ipocritamente giustificate da visioni anche opposte fra di loro, e che nel nostro Paese ha preso la forma politica chiamata fascismo. Oggi si va realizzando un processo iniziato da tempo – subito dopo lo smantellamento dei partiti usciti dalla lotta antifascista e le cui radici affondavano nella tradizione risorgimentale – che non vede più nella visione condivisa, spesso accompagnata da un aspro dibattito sugli strumenti per realizzarla, la base della lotta democratica, ma trova nella personalità del leader e nel suo gradimento nei sondaggi il perno di tutto. Ciò a prescindere dai contenuti, dalla forza delle idee e dalla loro coerenza; a prescindere pure dall’intelligenza, dalla cultura e dalla capacità amministrativa di chi cerca di affermarsi alla guida del Paese. Se a ciò si aggiunge un sistema elettorale grazie al quale il leader è dominus indiscusso delle fortune politiche dei singoli, ecco che l’intero Parlamento diventa un’assemblea di maggiordomi, perdendo di prestigio e perdendo anche quel sommo potere che la Costituzione gli riconosce. Le proposte politiche hanno perso qualsiasi coerenza, modellandosi sui desideri della folla, finalizzate a rafforzare un consenso emotivo, non razionale e consapevole e, per questo, rapidamente mutevole. Al valore della competenza, poi, si è sostituito il valore dell’incompetenza, visto come massima espressione della partecipazione popolare. Ne deriva una miscela di sentimenti pericolosissima: da una parte gli elettori – sempre di meno, peraltro – tendono a spostarsi sulla base del gradimento personale verso una persona il cui nome ormai sovrasta quello della formazione politica che rappresenta; dall’altra aumenta la sfiducia, fino al disprezzo, per le istituzioni democratiche, formate, nella rappresentazione collettiva, da anonimi esecutori della volontà altrui interessati al solo mantenimento del personale privilegio. È l’essenza del populismo ed è l’agonia della democrazia. di Cesare Greco

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