La politica estera fa la differenza
La politica estera è da sempre la vera cartina di tornasole di qualsiasi campagna elettorale, della credibilità di ogni progetto politico e, in definitiva, dei partiti che lo incarnano
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La politica estera fa la differenza
La politica estera è da sempre la vera cartina di tornasole di qualsiasi campagna elettorale, della credibilità di ogni progetto politico e, in definitiva, dei partiti che lo incarnano
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La politica estera fa la differenza
La politica estera è da sempre la vera cartina di tornasole di qualsiasi campagna elettorale, della credibilità di ogni progetto politico e, in definitiva, dei partiti che lo incarnano
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La politica estera è da sempre la vera cartina di tornasole di qualsiasi campagna elettorale, della credibilità di ogni progetto politico e, in definitiva, dei partiti che lo incarnano
Perché sulla politica estera si giocano i destini ultimi di un Paese, la sua credibilità internazionale, il suo peso e la sua capacità di interpretare i momenti storici.
In estrema sintesi, sulla politica estera non si scherza.
Figuriamoci mentre una guerra infiamma il cuore dell’Europa e non se ne vede la fine. Quello che è successo nelle ultime ore, oltre gli scoop giornalistici in se stessi, le relative reazioni stizzite, i distinguo e le smentite, certifica quello che tutti sanno e che molti cercavano di far dimenticare: è sulla politica estera che alcuni dei protagonisti di questa sgangherata e frettolosa campagna elettorale non sanno letteralmente cosa dire e fare.
Da una parte, la Lega di Matteo Salvini fatica le proverbiali sette camice per non essere trascinata in un’idea – nella migliore delle ipotesi – di equidistanza fra l’Occidente e la Russia di Putin. Anche senza considerare i prevedibili attacchi politici del Pd o di Azione per i presunti contatti in piena guerra con uomini vicini allo zar, gli sbandamenti e le vere e proprie infatuazioni verbali del leader per Putin negli anni sono stati tali e tanti da chiuderlo di fatto in un angolo.
Nel quale, con tempismo troppo perfetto, ha poi provveduto a chiuderlo a doppia mandata la sua principale (presunta?) alleata Giorgia Meloni. Nelle stesse ore in cui sulla Lega si abbatteva l’ennesimo uragano russo, la leader di Fratelli d’Italia e aspirante presidente del Consiglio del centrodestra ribadiva con forza l’atlantismo profondo e l’affidabilità assoluta sul piano internazionale e della guerra in Ucraina del suo partito.
Una presa di distanza oggettiva e clamorosa, a 24 ore del vertice che avrebbe dovuto sancire la felice unità di un’alleanza che resta al più un cartello elettorale.
Come al solito, in tutto questo il silenzio di Berlusconi sui rapporti con la Russia si conferma fragoroso, mentre il Movimento Cinque Stelle quasi ringrazia le sue convulsioni interne, che impediscono domande scomode su un tema delicato e scivolosissimo.
Il problema è che, una volta posatasi la polvere dell’ennesima polemica e in attesa della prossima, resteranno le posizioni di sempre e soprattutto le ambiguità che non passano. Peccato che sull’ambiguità ci giochiamo tutti la nostra faccia e il nostro futuro.
Di Fulvio Giuliani
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