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La sbandata

Le pericolosa sbandata moscovita di Salvini rischia di porre ai margini dell’Unione Europea il futuro governo di centrodestra e di spingere l’Italia in una posizione disastrosa.
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Le pericolosa sbandata moscovita di Salvini rischia di porre ai margini dell’Unione Europea il futuro governo di centrodestra e di spingere l’Italia in una posizione disastrosa.
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Le pericolosa sbandata moscovita di Salvini rischia di porre ai margini dell’Unione Europea il futuro governo di centrodestra e di spingere l’Italia in una posizione disastrosa.
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Le pericolosa sbandata moscovita di Salvini rischia di porre ai margini dell’Unione Europea il futuro governo di centrodestra e di spingere l’Italia in una posizione disastrosa.
Cosa spinge un leader di una coalizione a un passo da una vittoria potenzialmente larghissima – secondo tutti i sondaggi disponibili sul mercato – a smarcarsi clamorosamente dalla linea ufficiale dell’alleanza stessa e dalle palesi convenienze geo-strategiche del proprio Paese? Per uscire di metafora, cosa spinge Matteo Salvini a riscoprire le antiche simpatie per le guglie del Cremlino e a gettare sul tappeto il tema di un’Italia che si smarchi dalle sanzioni contro la Russia di Putin? La prima risposta non è di sostanza, ma di circostanza: evidentemente la vittoria viene data così per scontata, ovvia e inevitabile, da rendere l’unico tema disponibile sul mercato elettorale quello della leadership interna al centrodestra e della conseguente “candidatura“ a Palazzo Chigi. Atteggiamento psicologicamente molto rischioso, ma sin qui staremmo parlando – in fin dei conti – di un problema per il solo Salvini o al più per la sua alleanza. Il vero inghippo nasce nel momento in cui il leader della Lega si è trovato improvvisamente nello scomodo ruolo di comandante in seconda. Costretto all’inseguimento, tallonato addirittura da quel Movimento Cinque Stelle dato per defunto, Salvini sembra deciso a far rumore a tutti i costi, a sollevare polveroni che possano in qualche misura offuscare la capitana non riconosciuta Giorgia Meloni. Potrà apparire non solo utile, ma necessario. Agli interessi dell’ex ministro dell’Interno, si intende, di sicuro non del Paese e tutto sommato men che meno della stessa alleanza (alquanto presunta) che si avvierebbe a vincere le elezioni. La disperazione evidente, mostrata a favore di telecamere dalla leader di Fratelli d’Italia ascoltando la pericolosa sbandata moscovita di Salvini, sarà pure strumentale alla presenza della stampa, all’esigenza di “coprire” lo scomodo alleato, ma è presumibile fosse in buona misura sincera. La posizione salviniana, del resto, rischia di porre ai margini dell’Unione Europea il futuro governo di centrodestra prima ancora che possa vedere la luce, spingendo l’Italia in una posizione periferica potenzialmente disastrosa. Cercare di intestare il caro energia alle sanzioni e non alla scellerata decisione di Vladimir Putin di tornare a usare la guerra come strumento politico nel cuore dell’Europa è un processo mentale, il cui sbocco potrebbe terremotare l’intero lavoro svolto dal governo di Mario Draghi in politica estera ed energetica. Dovesse accadere, chiunque si troverebbe a governare una barchetta di carta in una tempesta tropicale. Un paria alla mercé dei mercati internazionali. Altro che le mani sugli occhi di Giorgia Meloni. Di Fulvio Giuliani

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