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La sindrome estiva della politica italiana

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È un virus che non lascia scampo neanche nel centrodestra: la sindrome estiva della politica italiana si chiama “scappatoia delle elezioni anticipate”

La sindrome estiva della politica italiana

È un virus che non lascia scampo neanche nel centrodestra: la sindrome estiva della politica italiana si chiama “scappatoia delle elezioni anticipate”

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La sindrome estiva della politica italiana

È un virus che non lascia scampo neanche nel centrodestra: la sindrome estiva della politica italiana si chiama “scappatoia delle elezioni anticipate”

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C’è una sindrome tutta estiva, che non c’entra nulla col cambiamento climatico, che riguarda la politica italiana e si chiama “scappatoia delle elezioni anticipate”. È una sindrome che colpisce inesorabilmente e fa vittime da tutte le parti, compresa l’attuale maggioranza di centrodestra, quella che ha prevalso con numeri da record in Parlamento e ha portato per la prima volta una donna a Palazzo Chigi.

È una sindrome apparentemente indomabile che alligna nei corridoi del Palazzo e si allarga verso i media con fare sinuoso e ammiccante. Il paradosso è che basterebbe poco per espungerla: un soprassalto di leadership, la consapevolezza della propria forza e la conseguente debolezza dello schieramento avverso, qualche idea per affrontare i mali del Paese, l’onestà di rivolgersi all’elettorato senza rodomontate ma con l’umiltà di chi sa che non esistono riposte facili o propagandistiche a problemi difficili, complessi, radicati in profondità nelle pieghe della società.

Insomma, la medicina è la capacità di governare: la stessa invocata con risolutezza all’apertura delle urne e poi – neanche tanto sorprendentemente per chi conosce la storia italiana – inabissatasi nel confronto tra partiti che si sono coalizzati. Così succede che Lega e Forza Italia, vicendevolmente sorpassatesi nei sondaggi, litigano a più non posso e la presidente del Consiglio, surrettiziamente, fa dire ai suoi che se continua così si pone «un problema politico» che può sfociare in chissà quale estuario, compreso quello elettorale.

Bene, proviamo a fare chiarezza. L’ipotesi di elezioni anticipate non esiste, è fumo negli occhi. Intanto perché a Costituzione vigente è il capo dello Stato che decide se sciogliere o no le Camere, non qualche gargarismo frutto di questa o quella insoddisfazione. Poi perché si andrebbe al voto sulle macerie del centrodestra, tanto vittorioso quanto incapace di reggere il peso della governabilità. E infine perché uno schieramento privo di uno qualsiasi dei partner che hanno sottoscritto l’intesa due anni fa andrebbe incontro a sconfitta sicura: va bene il masochismo, ma il suicidio politico è roba che sta nell’iperuranio.

Quel che è rocciosamente vero, invece, è che i problemi ci sono e prosperano dentro una maggioranza che era pervasa fin dall’inizio da spaccature tutt’altro che trascurabili: basta pensare alla guerra in Ucraina, all’Europa e alla collocazione geopolitica e dell’Italia. Ma che via via si sono nutrite di questioni legate all’attività quotidiana di governo, dal premierato all’autonomia differenziata per arrivare alla giustizia, al sovraffollamento delle carceri, alla legge sulle ristrutturazioni immobiliari o condono che dir si voglia e via elencando.

Fin dal primo vagito, il refrain della legislatura è stato la contrapposizione tra Salvini e Meloni, con la seconda che ha fatto finta di niente e il primo che di giorno assicurava lealtà e poi di notte, novella Penelope, sabotava. All’indomani del risultato europeo, a quel ritornello si è aggiunta la voce di Forza Italia, grazie al sorpasso sul Carroccio e alla malmostosità crescente della famiglia Berlusconi. Il risultato è che le dinamiche che colpevolmente non sono state affrontate prima si ripropongono adesso con più forza, provocando lacerazioni che logorano e producono disaffezione.

Vero è che allo stato la Meloni continua a godere di un vasto substrato di fiducia negli italiani. Ma è una condizione volatile e la prima a saperlo dovrebbe essere proprio l’inquilina di Palazzo Chigi. Che ha una sola carta da giocare per allontanare spettri di crisi e crepuscolari prolassi di popolarità: dimostrare di avere la leadership necessaria per tenere il timone del governo. C’è chi, come Matteo Renzi, giura che la parabola discendente di Giorgia è cominciata e infatti cerca collocazioni a sinistra. Tocca a Meloni smentire. Ben sapendo che la capacità di governo è come il coraggio di don Abbondio.

di Carlo Fusi

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