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La sproporzione tra Draghi e la politica che resta

La sproporzione tra Draghi e la politica che resta

La sproporzione evidente tra Mario Draghi, il suo progetto e il suo programma e il palco della politica prossimo alle elezioni 2022 è evidente. Ma il tempo per sistemare le cose, forse c’è ancora.
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La sproporzione tra Draghi e la politica che resta

La sproporzione evidente tra Mario Draghi, il suo progetto e il suo programma e il palco della politica prossimo alle elezioni 2022 è evidente. Ma il tempo per sistemare le cose, forse c’è ancora.
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La sproporzione tra Draghi e la politica che resta

La sproporzione evidente tra Mario Draghi, il suo progetto e il suo programma e il palco della politica prossimo alle elezioni 2022 è evidente. Ma il tempo per sistemare le cose, forse c’è ancora.
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La sproporzione evidente tra Mario Draghi, il suo progetto e il suo programma e il palco della politica prossimo alle elezioni 2022 è evidente. Ma il tempo per sistemare le cose, forse c’è ancora.
Inutile girarci attorno o avere timore nell’osservarlo: colpisce la sproporzione. Non si tratta di mettere a confronto le personalità o le biografie, ma le parole e la visione del futuro, gli interessi italiani e il modo in cui, nel presente, si difendono. Mario Draghi non ha tratto un bilancio dell’azione del governo che ancora presiede, ha disegnato un progetto, ha esposto un programma. Ha invitato tutti ad andare a votare (giusto) e ricordato che saranno gli elettori a decidere del prossimo Parlamento e, quindi, del prossimo governo (giustissimo). Su questo punto torno. Ma ha anche esposto una visione che ha messo in luce la sproporzione con ciascuno e con l’insieme che su quello stesso palco si era esibito. Non esiste Italia ricca e sicura senza collocazione indissolubilmente interna all’Unione europea e all’Alleanza atlantica. Non esiste Italia prospera se non dentro i mercati globali, laddove protezionismo e isolazionismo impoveriscono. E immiseriscono, aggiungerei. Non esiste alcuna sovranità nazionale senza l’affrancarsi dalle forniture di gas che una potenza imperialista e aggressiva, la Russia, utilizza per ricattare. Già oggi abbiamo dimezzato quella dipendenza, nell’autunno del 2024 sarà totale. Indietro non si torni «mai più». Non esiste Italia autorevole se non partendo dal riconoscimento che altri europei hanno accettato di tassare i propri cittadini per permettere al nostro Paese, con i fondi NGEU, di riprendersi rapidamente, né potrà esserci credibilità se non dando attuazione a quanto il Pnrr prevede, non solo nella spesa, ma anche nelle riforme che ci siamo impegnati a fare, che abbiamo il dovere di varare, che è nel nostro interesse realizzare. E non esiste libertà se non al fianco dell’Ucraina, Paese libero aggredito brutalmente da un’azione criminale. È con questi principi che si è riusciti a realizzare il più veloce recupero produttivo, dopo la pandemia; la più consistente riduzione percentuale, dal dopo guerra a oggi, del debito pubblico; una crescita del prodotto interno lordo, per l’anno in corso, del 3.4%; un record di occupazione. Fatti, non promesse. Non c’è un “lascito politico”, né una “agenda” da consegnare ai successori. C’è il quadro in cui chiunque governi dovrà muoversi. E ove intenda muoversi fuori da quel quadro c’è la rovina dei risultati fin qui raggiunti e degli interessi nazionali indisponibili. Non c’è, né doveva o poteva esserci, una indicazione elettorale. C’è il rammentare che fuori dall’Unione europea, fuori dall’euro e fuori dalla Nato, tutte cose reclamate da taluni, qualche volta nel recentissimo passato e qualche altra nel loro detestabile presente, l’Italia si rattrappirà in un nazionalismo capace di demolire la Patria. Osservando la sproporzione vien da chiedersi se lo stesso Draghi non avrebbe potuto essere più accomodante, in modo da restare qualche altro mese al governo, scrivere la legge di bilancio e riconsegnare la guida nell’estate del 2023. E, sebbene la sproporzione stringa il cuore di chi l’Italia la ama per convinzione e non per slogan, la risposta è: no. Avrebbe sbagliato. Anzi, è proprio nel non avere abbozzato che c’è il solo e profondo lascito politico. E morale. Perché si dimostra che un’Italia in linea con la forza del Paese esiste. Perché una democrazia non può campare di supplenze. Perché una classe dirigente si misura con i problemi che deve affrontare e con l’esempio che ha ricevuto. Perché agli elettori è consegnato il delicato potere di scegliere: se volessero farlo per tifo e contrapposizione, senza visione degli interessi italiani, ne pagherebbero, ne pagheremmo le conseguenze. Tocca al palco dei politici razionalizzare la sproporzione con il palco di Draghi, ricordando che il vincitore non è chi entra a Palazzo di sghembo, con falsi alleati, ma chi può uscirne solitario ed eretto. Il tempo per raddrizzare questa campagna elettorale stortignaccola c’è ancora. Se ne trovi la lucidità e il coraggio.   di Davide Giacalone

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