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le conseguenze del salario minimo

Le reali conseguenze del salario minimo

Sul salario minimo le posizioni sono frammentate e confuse, sempre scappando da un dibattito costruttivo e dimenticando quali sarebbero le concrete conseguenze di questa misura, a partire dalla statalizzazione dei salari.
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Le reali conseguenze del salario minimo

Sul salario minimo le posizioni sono frammentate e confuse, sempre scappando da un dibattito costruttivo e dimenticando quali sarebbero le concrete conseguenze di questa misura, a partire dalla statalizzazione dei salari.
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Le reali conseguenze del salario minimo

Sul salario minimo le posizioni sono frammentate e confuse, sempre scappando da un dibattito costruttivo e dimenticando quali sarebbero le concrete conseguenze di questa misura, a partire dalla statalizzazione dei salari.
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Sul salario minimo le posizioni sono frammentate e confuse, sempre scappando da un dibattito costruttivo e dimenticando quali sarebbero le concrete conseguenze di questa misura, a partire dalla statalizzazione dei salari.
Peculiari e frammentate le posizioni sul salario minimo. Enrico Letta è favorevole, con la Confindustria di Bonomi (che forse non ha capito le implicazioni). Tra chi sostiene che lo Smic, come lo chiamano i francesi, sia scivoloso c’è il presidente dell’Inps Pasquale Tridico, che vuole capire meglio cosa sia incluso nei 9 euro perché, se si conteggiano anche tredicesima e Tfr, la quota di lavoratori “sotto soglia” cala e di molto. Se, come dice l’Unione europea, lo Smic è la paga minima per lavori non coperti da contratti collettivi nazionali di lavoro (Ccnl), parecchie controindicazioni si affievoliscono o cadono. Il che comporta, in Italia e secondo Bruxelles, coinvolgere un numero ridotto di lavoratori. Resta l’impatto del “falso mito” Smic, inteso come iconica bandierina sul quale costruire facili slogan. Si recita a soggetto, in prevalenza schierandosi sul no, con motivazioni diverse. Luigi Sbarra (insieme all’Adapt fondato da Marco Biagi), solitario tra i leader sindacali sostiene che lo Smic «non è la soluzione». Alla fine anche per la Cisl più che il dolore potrà il digiuno: con lo Smic potrebbe scapparci un aumento dei salari senza neppure prendersi il disturbo di scioperare. Il titolare del Lavoro Andrea Orlando, al contrario dell’ex ministro Nunzia Catalfo, è favorevole a giorni alterni. Non può dire no al cavallo di battaglia che il Pd metterà al centro dell’iniziativa politica in vista delle elezioni, ma sta ancora studiando il modo di rendere erga omnes i contratti delle confederazioni. Alla fine Orlando adotterà la linea di Maurizio Landini. Anche Matteo Salvini dice che lo Smic danneggerebbe i dipendenti che si vedono applicare i Ccnl. Una simile confusione non dovrebbe sorprendere, vista la scarsa cultura del mercato del lavoro, dei suoi mille dualismi e contraddizioni. Le tendenze in atto sono singolari. Lo Smic è l’ultimo avvertimento di una mutazione genetica delle relazioni industriali: è in corso una “nazionalizzazione” della retribuzione, nel senso che sta crescendo l’intervento dello Stato anche sulla parte economica del rapporto di lavoro. I “convertiti” allo Smic non si rendono conto che la dinamica eroderà la funzione di autorità salariale dei sindacati, come a suo tempo l’indennità di contingenza. In anni di forte inflazione vengono adottate vere e proprie erogazioni parasalariali: è il caso dei 200 euro. Ma la vera novità riguarda il taglio del cuneo fiscale. Oggi è chiaro che per un intervento importante non ci si possa limitare al taglio delle imposte ma sia necessario fiscalizzare quote crescenti di contributi. Il finanziamento delle pensioni assumerebbe un prevalente profilo fiscale anche per le prestazioni di natura e origine previdenziale. Ma c’è dell’altro. Si è forse dimenticato lo snaturamento del Tfr che, da strumento finanziato col criterio della capitalizzazione ancorché sulla base di criteri stabiliti dalla legge, è stato trasferito al regime della ripartizione? Il saldo, al netto del pagamento delle prestazioni, è utilizzato per la spesa corrente. Di Giuliano Cazzola e Franco Vergnano

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