Le due grandi sconfitte
La posizione de La Ragione su Mario Draghi – come quella del tutto trascurabile di chi scrive – è arcinota e non l’abbiamo certo mai nascosta o dissimulata: in sintesi, crediamo che il presidente del Consiglio sia e resti una straordinaria opportunità di credibilità, buon lavoro e governo per questo Paese
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Le due grandi sconfitte
La posizione de La Ragione su Mario Draghi – come quella del tutto trascurabile di chi scrive – è arcinota e non l’abbiamo certo mai nascosta o dissimulata: in sintesi, crediamo che il presidente del Consiglio sia e resti una straordinaria opportunità di credibilità, buon lavoro e governo per questo Paese
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Le due grandi sconfitte
La posizione de La Ragione su Mario Draghi – come quella del tutto trascurabile di chi scrive – è arcinota e non l’abbiamo certo mai nascosta o dissimulata: in sintesi, crediamo che il presidente del Consiglio sia e resti una straordinaria opportunità di credibilità, buon lavoro e governo per questo Paese
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La posizione de La Ragione su Mario Draghi – come quella del tutto trascurabile di chi scrive – è arcinota e non l’abbiamo certo mai nascosta o dissimulata: in sintesi, crediamo che il presidente del Consiglio sia e resti una straordinaria opportunità di credibilità, buon lavoro e governo per questo Paese
L’uomo giusto al posto giusto, in sostanza. Ciò detto, non è mai sfuggito a tutti noi un dato fondamentale: aver affidato all’ex presidente della Bce la guida dell’esecutivo costituisce una sconfitta per l’intero sistema politico emerso da quasi trent’anni di finto o quantomeno raffazzonato ‘bipolarismo’ (dove, quale?!).
Sconfitta fragorosa, dolorosa, indiscutibile, per certi aspetti inappellabile. Una chiamata (quasi disperata, alla luce degli eventi delle ultime 72 ore) al senso di responsabilità di partiti e sedicenti coalizioni, nella speranza di venir fuori da questa lunga fase emergenziale con una diversa consapevolezza del lavoro da fare e del proprio ruolo.
Una pia speranza, all’evidenza di un’ignominiosa fuga dalle proprie responsabilità, di chi ha gettato il governo e l’Italia in una crisi al buio (pesto), ma più in generale di tutti quelli che ci hanno portato fin qui. Solo la prima, peraltro, delle due sconfitte con cui fare i conti. La seconda – ancora più amara e inquietante – è la conclamata difficoltà della democrazia rappresentativa di fare il proprio lavoro in Italia, da troppo tempo.
Che partiti e leader, in grado di raggiungere vette di popolarità sconosciute ai protagonisti della politica “di prima“, non riescano a portare avanti uno straccio di idea di Paese, di strategia per un futuro carico sì di incognite – ma anche di straordinarie opportunità e prospettive – è oltre il livello di sconforto. Che tutto questo abbia costretto il presidente della Repubblica a commissariarli per manifesta incapacità, affidando la guida del governo a un uomo di altissima credibilità e carisma, ma del tutto estraneo all’agone politico, è più di una disfatta. È una lacerazione, la cui portata nessuno di questi statisti della domenica è riuscito a cogliere fino in fondo.
Ecco perché fa bene Mario Draghi a tirar dritto e a metterli drammaticamente davanti alle loro (ir)responsabilità. La speranza – anche di una presa di coscienza in extremis – è sempre l’ultima a morire.
Di Fulvio Giuliani
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