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Le parole senza vergogna

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Parlare, fare notizia, se possibile sensazione: un virus che ha colpito politici e giornalisti durante la tragedia di Cutro

Le parole senza vergogna

Parlare, fare notizia, se possibile sensazione: un virus che ha colpito politici e giornalisti durante la tragedia di Cutro
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Le parole senza vergogna

Parlare, fare notizia, se possibile sensazione: un virus che ha colpito politici e giornalisti durante la tragedia di Cutro
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Si deve per forza parlare, parlare, parlare. Farsi notare, fare notizia anche quando non si è neppure sfondo dei fatti. Se possibile, sensazione. È un virus, cui evidentemente non riescono a sottrarsi tanto politici quanto giornalisti desiderosi di mostrarsi sempre un passo avanti rispetto agli altri. Se quel passo, poi, dovesse portare verso il precipizio dell’infamia o almeno delle figuracce, pazienza. Rischio che evidentemente vale la pena correre, nella testa di chi interpreta il proprio ruolo pubblico come uno show a uso di like e telecamere. Da domenica a ieri sono stati cinque giorni di parole in libertà davanti alla tragedia e il dolore. Neppure le tutine dei bambini spiaggiate sul litorale di Cutro hanno fermato gli spericolati della politica e del giornalismo. Neppure 68 bare allineate nel palazzo dello sport di Crotone e un numero ancora oggi imprecisato di dispersi hanno indotto al riserbo, al cordoglio silente e almeno all’istinto di conservazione dalle figuracce epocali. Neppure l’esempio del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che senza dire letteralmente una parola e senza emettere un suono ha testimoniato più di chiunque altro non solo il dolore, ma la presenza e l’impegno dello Stato. Implicitamente anche per la verità dei fatti, come abbiamo scritto questa mattina per La Ragione. La lezione della gaffe inemendabile del ministro dell’Interno Piantedosi, schiantatosi in allucinanti accuse ai genitori proprio delle più piccole vittime della tragedia non è bastata a una serie di epigoni come Vittorio Feltri o il vice presidente della Camera Fabio Rampelli. Il primo è arrivato all’insensibiltà assoluta in un tweet così doloroso da sembrare impossibile: “Partire è un po’ morire”. Il secondo si è lanciato nei soliti ragionamenti sgangherati sull’avvisare chi parte dei pericoli (ma va?!), visto che telefonini e parabole non mancano. Il che – magari – dimostrerebbe quanto così male non si stia nei Paesi da cui si fugge. Come non essere d’accordo, quando si parla di Siria, Afghanistan, Iraq e Iran… Vuoi vedere che qualcuno preferisca restare nelle mani di Assad, invece di rischiare la vita per la libertà propria e dei figli. C’è da mettersi le mani nei capelli, invocare almeno un po’ di prudente silenzio, visto che di decenza non vi è più traccia. di Fulvio Giuliani

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