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Le veline e i veleni

Le “veline” sono un genere che non è morto, tutti i governi e tutti i partiti hanno adoperato il medesimo strumento del mattinale. Il problema è un altro: il servizio pubblico
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Le veline e i veleni

Le “veline” sono un genere che non è morto, tutti i governi e tutti i partiti hanno adoperato il medesimo strumento del mattinale. Il problema è un altro: il servizio pubblico
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Le veline e i veleni

Le “veline” sono un genere che non è morto, tutti i governi e tutti i partiti hanno adoperato il medesimo strumento del mattinale. Il problema è un altro: il servizio pubblico
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Le “veline” sono un genere che non è morto, tutti i governi e tutti i partiti hanno adoperato il medesimo strumento del mattinale. Il problema è un altro: il servizio pubblico

I giornalisti parlamentari, diciamo così, non più giovanissimi ricordano la leggendaria “Velina” vergata ogni sera per anni da Vittorio Orefice alla quale si contrappose a un certo punto la “Velina rossa” di Pasquale Laurito: grandi cronisti e persone di livello, il primo democristiano e il secondo (che è ancora fra noi) comunista e postcomunista. Riportavano indiscrezioni che facevano comodo alle loro parti politiche ma soprattutto fornivano due letture diverse e spesso opposte della giornata politica. Altri tempi.

E però la ‘velina’ è un genere che non è morto. Infatti “la Repubblica” ha scoperto la ‘velina nera’, un mattinale redatto a Palazzo Chigi – indirizzato a membri del governo, parlamentari, collaboratori di Fratelli d’Italia e probabilmente anche ai giornalisti ‘amici’ – su ciò che va valorizzato, su come replicare alle critiche e via dicendo. Bella scoperta: tutti i governi e tutti i partiti hanno adoperato il medesimo strumento del mattinale (quello di Berlusconi si chiamava proprio così). Perché in fondo che male c’è a orientare i propri sostenitori e a influenzare i giornali? La cosa seria è invece un’altra: il servizio pubblico. In particolare il Tg1.

Da quando ne è direttore Gian Marco Chiocci, il Tg1 – specie quello delle 13.30 – è diventato di parte come non è mai stato, e in modo molto abile. Le aperture, veri inni al governo Meloni, non si contano: l’altro giorno sembrava che il Consiglio dei ministri avesse deciso di riempire di soldi i pensionati, emblema di un welfarefantastico che nemmeno nei Paesi scandinavi. Poi vai a vedere e si tratta – meglio di niente certo – di poca cosa. Viceversa quando nella maggioranza c’è maretta (in quel caso si parla di “dibattito”) la cosa scivola giù senza drammi. Ma il capolavoro vero sta nel privilegiare il fattaccio di cronaca, nell’inzuppare il tg di notizie ‘carine’, molto glamour e lustrine: “La nave va” sarebbe lo slogan perfetto se non l’avesse inventato Bettino Craxi quarant’anni fa. Per cui il cittadino medio consuma il suo pranzo con più gusto: le cose vanno bene.

Chiocci non è Emilio Fede, che era dichiaratamente un tifoso di Silvio. È un notevole professionista di razza fortissimamente voluto in Rai da Fratelli d’Italia, artefice di un racconto ottimista e di destra che rilancia i desiderata di Palazzo Chigi. È probabile che si sia comunque perso per strada una parte di pubblico che non se la beve ma non c’è dubbio che il direttore del Tg1 abbia una parte molto grande nella fabbrica del consenso del governo. L’uomo giusto al posto giusto. Che poi il posto sia una televisione che paghiamo tutti è un altro discorso. Lo è sempre stato e magari, prima o poi, qualcuno lo farà.

di Mario Lavia

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