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leggi vaghe e pubblicità

Leggi vaghe consegnano tutto ai giudici

L’attività legislativa ha il dovere di produrre norme che non lascino spazio all’immaginazione. Breve storia di come le pubblicità di dubbio gusto possano essere utilizzate per ottenere piccole rivincite politiche dai risultati effimeri.

Guidando con destrezza nell’aula di Montecitorio, le deputate Raffaella Paita (Italia Viva) e Alessia Rotta (Pd) sono riuscite a posteggiare il loro bravo ‘emendamento manifesto’ nel decreto Infrastrutture e Trasporti.

Col risultato che il comma 4 bis all’articolo 1 del provvedimento, approvato ora in via definitiva dal Senato, stabilisce il divieto di affissione sulle strade ma anche su mezzi pubblici o su mezzi privati di pubblicità che propongano «messaggi sessisti o violenti o stereotipi di genere offensivi o messaggi lesivi del rispetto delle libertà individuali, dei diritti civili e politici, del credo religioso, dell’appartenenza etnica oppure discriminatori con riferimento all’orientamento sessuale, all’identità di genere, alle abilità fisiche e psichiche».

Un bel frontale contro il buon senso. L’attività legislativa dovrebbe infatti produrre norme che non lascino spazio alcuno all’interpretazione. Tipo quelle contenute nel Codice della strada, per intenderci. In questo caso si è voluto usarla quale scorciatoia per conseguire un effimero risultato politico, che sa tanto di piccola rivincita dopo la débâcle subìta con l’abortito ddl Zan. E dire che le aziende di settore si sono dotate da tempo di stringenti codici di autodisciplina ma soprattutto che una pubblicità di cattivo gusto si rivela sempre un boomerang per lo stesso committente.

Così legiferando, ci si consegna invece alla valutazione personale del magistrato di turno. Brutta strada, che un Parlamento serio non dovrebbe mai imboccare.

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