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L’élite, il nemico del popolo

Nella retorica populista, soprattutto di sinistra, c’è un unico nemico: l’élite dei ricchi, quell’1% della popolazione più agiata su cui riversare tutta la rabbia. “La fattoria degli animali” di Orwell, insomma, resta sempre più attuale.
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L’élite, il nemico del popolo

Nella retorica populista, soprattutto di sinistra, c’è un unico nemico: l’élite dei ricchi, quell’1% della popolazione più agiata su cui riversare tutta la rabbia. “La fattoria degli animali” di Orwell, insomma, resta sempre più attuale.
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L’élite, il nemico del popolo

Nella retorica populista, soprattutto di sinistra, c’è un unico nemico: l’élite dei ricchi, quell’1% della popolazione più agiata su cui riversare tutta la rabbia. “La fattoria degli animali” di Orwell, insomma, resta sempre più attuale.
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Nella retorica populista, soprattutto di sinistra, c’è un unico nemico: l’élite dei ricchi, quell’1% della popolazione più agiata su cui riversare tutta la rabbia. “La fattoria degli animali” di Orwell, insomma, resta sempre più attuale.
Nella retorica populista in voga da qualche anno c’è un “nemico del popolo” dichiarato: le élite. Ovviamente, il populista scaltro evita di definire con precisione tale vituperata categoria, cosciente del rischio che i capi dei movimenti populisti sono spesso essi stessi, per origine sociale o patrimonio, élite. “La fattoria degli animali” di Orwell resta insomma d’attualità. Il populismo di sinistra, peraltro, se la prende in particolare con una sub-categoria elitaria: “i ricchi”. Chi sono oggettivamente, oggi? Nel gergo dei banchieri privati, di cui costoro sono i principali clienti, “i ricchi” si chiamano Uhnwi, acronimo delle persone con patrimonio molto rilevante. Nel 2021 se ne contavano nel mondo 610mila, di cui qualche migliaio residente in Italia. Nella retorica “anti-ricchi”, il nemico è invece il famoso 1% della popolazione più agiata, cifra che globalmente oggi includerebbe 70 milioni di persone. Nella logica elettorale della politica populista, invece, “i ricchi” sono coloro che guadagnano o possiedono più dell’elettore medio, per definizione tendenzialmente invidioso, normalmente soggetto a poca tassazione diretta e dunque favorevole a tassare altri, idealmente con proprio beneficio. La controprova di questa retorica della sinistra populista sta nelle rivendicazioni “della destra”, che chiede appunto di ridurre le tasse “sui ricchi”. Il nuovo governo conservatore britannico – nato dalla caduta rovinosa di Boris Johnson ed espressione dell’ala radicale del partito – ha deciso di riportare l’aliquota massima di tassazione del reddito al 40% vigente prima della crisi… e Liz Truss è stata prontamente accusata di essere “la serva dei ricchi”. Ora, risulta che nei pochi giorni trascorsi da quando la signora Truss abita al numero 10 di Downing Street gli attivi finanziari britannici abbiano subìto un salasso di circa 500 miliardi, con un impatto negativo per le tasche dei “ricchi” infinitamente superiore al vantaggio di un taglio di 5 punti dell’aliquota massima Irpef. Insomma, lasciando da parte la retorica e le polemiche, le possibili politiche dei governi si dividono in due categorie: le decisioni che tendenzialmente stimolano la creazione di maggiore ricchezza e quelle che tendenzialmente impoveriscono l’economia. La questione della redistribuzione della ricchezza si pone in un momento successivo alla sua creazione e gli economisti sanno che una distribuzione equa della “torta” economica di norma ne stimola la crescita, perché i meno abbienti spendono una percentuale maggiore del reddito rispetto ai “ricchi”. Il principale “nemico del popolo”, dunque, resta chi cerca di abusare della credulità del medesimo e purtroppo molto spesso riesce nell’intento.   di Ottavio Lavaggi  

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