L’inizio della fine
Lo scontro fra governo e magistratura ripropone quella che avevamo definito tempo fa la Guerra dei Trent’anni in chiave contemporanea
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Lo scontro fra governo e magistratura ripropone quella che avevamo definito tempo fa la Guerra dei Trent’anni in chiave contemporanea
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L’inizio della fine
Lo scontro fra governo e magistratura ripropone quella che avevamo definito tempo fa la Guerra dei Trent’anni in chiave contemporanea
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Lo scontro fra governo e magistratura ripropone quella che avevamo definito tempo fa la Guerra dei Trent’anni in chiave contemporanea
Ma al dunque è la fine dell’inizio o l’inizio della fine? Lo scontro fra governo e magistratura – contornato per un verso dai soliti altissimi lai delle toghe e per l’altro dai rituali esorcismi del Palazzo riguardo presunti complotti – ripropone quella che su queste colonne tempo fa avevamo definito la Guerra dei Trent’anni. Un conflitto che devastò l’Europa nella prima metà del Seicento risultando uno dei più lunghi e distruttivi.
Oggi, riprendendo cronologicamente l’avvio della stagione di Tangentopoli, sono in molti a farvi riferimento. Con una consapevolezza. Che per come è ricominciata e per i toni messi in campo, il rischio è che finisca come al solito: con un nulla di fatto e dosi massicce di reciproca delegittimazione.
Tuttavia c’è un elemento che soggiace alle varie puntate di questo tormentone nefasto. E che attiene direttamente alle due grandi novità di questa fase: la vittoria del centrodestra (diventato destracentro nel responso delle urne) e l’arrivo a Palazzo Chigi di una donna: Giorgia Meloni, leader e fondatrice di FdI. L’elemento è il seguente. In seguito al travolgente successo nelle urne, la Meloni aveva annunciato di voler cambiare l’Italia in profondità con riforme incisive, senza preoccuparsi della eventuale popolarità in calo: «Non guardo al consenso» spiegò in una intervista a “Il Sole 24 Ore” del 17 dicembre scorso.
Bene, giusto. La lungimiranza è una qualità che la classe politica – tutta – ha perso e quanto sia carente la spinta riformista sotto il nostro cielo non c’è bisogno di ricordarlo.
Ebbene, a otto mesi dall’insediamento l’esecutivo ha sommerso gli italiani di parole e promesse, di polemiche e occupazione di potere (legittima, salvo i modi) mentre la concretezza delle riforme è rimasta lettera morta.
Della giustizia, asse portante della nuova fase da inaugurare con un Guardasigilli fortemente voluto e non sempre adeguatamente difeso, si è appena detto. Cancellazione dell’abuso d’ufficio, revisione delle intercettazioni e su pe li rami fino al Moloch della separazione delle carriere non hanno trovato una formulazione legislativa appropriata. E non per una efficace interdizione delle opposizioni, quanto per divaricazioni interne alla maggioranza. C’è stato chi ha accusato Nordio di eccessiva timidezza e scarsa coerenza. Forse. Però è lecito immaginare che, dopo una parvenza di revisione dell’abuso d’ufficio, se il titolare della Giustizia avesse portato in Consiglio dei ministri un articolato su riforme più sostanziose lo scontro nella coalizione sarebbe stato devastante e foriero di crisi.
Sembra adesso che Meloni voglia correre ai ripari con un intervento pubblico sui temi della giustizia: altre parole quando al contrario servono fatti? La sede per dibattere è il Parlamento, non i giornali o il plenum del Csm. È tempo che arrivi l’inizio della fine: la fine di una drôle de guerre che l’Italia non può permettersi. Ma non c’è da essere troppo ottimisti. Perché la verità è che irresolutezze, tentennamenti e incursioni seguite da repentine marce indietro minacciano di diventare il marchio di fabbrica del destracentro e della sua leadership. Ci sono notizie del presidenzialismo, madre di tutte le riforme? E che dire del Mes, palleggiato e ripalleggiato e sul quale l’ultima trovata è – indovinate – un bel rinvio di quattro mesi?
Per non parlare dell’autonomia differenziata, cavallo di battaglia della Lega: la Commissione guidata da Cassese vive soprattutto di abbandoni. Si potrebbe continuare con Pnrr, pubblica amministrazione e fisco. Non ce n’è bisogno. Perché l’inizio della fine è lì dietro l’angolo: la fine delle velleità sparse a piene mani in campagna elettorale.
di Carlo Fusi
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