Mario Draghi, i migliori sono scomodi
Il riconoscimento di Ursula Von Der Leyen, in occasione del discorso sullo Stato dell’Unione, è solo uno degli ultimi verso Mario Draghi, scomodo perché necessario
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Mario Draghi, i migliori sono scomodi
Il riconoscimento di Ursula Von Der Leyen, in occasione del discorso sullo Stato dell’Unione, è solo uno degli ultimi verso Mario Draghi, scomodo perché necessario
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Mario Draghi, i migliori sono scomodi
Il riconoscimento di Ursula Von Der Leyen, in occasione del discorso sullo Stato dell’Unione, è solo uno degli ultimi verso Mario Draghi, scomodo perché necessario
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Il riconoscimento di Ursula Von Der Leyen, in occasione del discorso sullo Stato dell’Unione, è solo uno degli ultimi verso Mario Draghi, scomodo perché necessario
La presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen, in occasione del discorso sullo Stato dell’Unione di questa mattina, ha “arruolato” l’esperienza e le qualità dell’ex presidente della Banca centrale europea Mario Draghi, a cui la Von der Leyen ha chiesto un contributo per sviluppare la competitività dell’Unione.
Solo l’ultimo di una lunga serie di riconoscimenti pubblici all’ex presidente del Consiglio italiano, a oggi considerato uno degli europei più credibili a livello mondiale. Dove per “europei“ intendiamo volti dell’Unione in grado di rappresentarla al meglio delle proprie capacità di oggi e potenzialità di domani.
A lui fu affidato il nostro Paese, in un passaggio di incredibile delicatezza politica e non solo, alle prese con la pandemia e in un mare di dubbi sulla capacità di rispondere adeguatamente alla sfida. Sappiamo com’è andata, con una delle campagne vaccinali più efficaci al mondo e una ripresa economica che ha messo in fila i Paesi europei. Mario Draghi è un leader riconosciuto e apprezzato, ascoltato e considerato nei più alti consessi internazionali. Eppure, posto che non ci abbia mai pensato e mai ci penserà, Mario Draghi non prenderebbe un voto.
Meglio, dovesse candidarsi prenderebbe percentuali fra l’irrisorio, il trascurabile e il deludente in base al grado di capacità di adattarsi ai giochi della politica e delle alleanze. L’italiano più famoso al mondo, se parliamo di politica ed economia si intende, non è minimamente spendibile in termini elettorali. Com’è possibile?
Le risposte le conosciamo, magari evitiamo di dircele per limitare amarezza e sconforto. Mario Draghi, dovesse fare quello che non farà e cioè candidarsi alla guida del Paese, direbbe cose che la stragrande maggioranza degli italiani non vogliono sentirsi dire.
Possiamo raccontarci tutte le favolette ideologiche di questa terra, ma chiunque – quindi non solo Draghi, sia chiaro – dovesse presentarsi alle elezioni sostenendo la necessità di lavorare di più e meglio, accettare più concorrenza e competitività in ogni ambito della vita, andare in pensione più tardi per aiutare non a chiacchiere ma realmente i nostri figli, non cercare la protezione del posto fisso ma della formazione, qualità e professionalità, che lo Stato deve spendere di meno e regalare zero non prenderebbe un voto. La stessa palese qualità e preparazione sopra la media risultano disturbanti per troppi.
Qualcuno è ancora disposto a meravigliarsi della cosa, dopo anni in cui abbiamo favoleggiato di “uno vale uno”, populismo facile-facile e orrende teorie di trionfo del dilettantismo? Facciamo i conti con la realtà: i migliori sono tenuti ai margini della cosa pubblica in quanto tali. Prenderne atto è il primo, necessario passo.
di Fulvio Giuliani
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