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Mario Draghi, l’uomo giusto

Mario Draghi è l’uomo più influente e ascoltato ma anche il meno popolare in Italia e all’estero, forse perché poco legato ai cliché tricolore

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Mario Draghi, l’uomo giusto

Mario Draghi è l’uomo più influente e ascoltato ma anche il meno popolare in Italia e all’estero, forse perché poco legato ai cliché tricolore

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Mario Draghi, l’uomo giusto

Mario Draghi è l’uomo più influente e ascoltato ma anche il meno popolare in Italia e all’estero, forse perché poco legato ai cliché tricolore

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Mario Draghi è l’uomo più influente e ascoltato ma anche il meno popolare in Italia e all’estero, forse perché poco legato ai cliché tricolore

Mario Draghi è l’italiano più ascoltato, influente e “potente” e anche – fra le personalità più in vista, si intende – uno dei meno popolari. Non che susciti antipatie o addirittura repulsione, specialità della casa dei leader politici schiettamente divisivi. Non è popolare nel senso etimologico del termine, viene percepito come distante, autorevole, di indiscutibili capacità e qualità professionali ma in qualche misura alieno. Per dirla tutta, ben poco italiano.

Si badi, la relativa “italianità” del personaggio Draghi non è questione solo interna, se non altro per il riflesso di antichi tic sul nostro Paese. All’estero, chiunque esca dal cliché tricolore viene da sempre percepito come “lontano” dal classico italiano. Tanto per cominciare Mario Draghi è e resta un banchiere e i banchieri molto di rado sono simpatici alle masse. Figurarsi quelli “centrali” a cui anche una lettura un po’ semplicistica dei media finisce per ascrivere ogni responsabilità quando mutuo e prestiti diventano più cari.

Da presidente del Consiglio, per quanto tecnico che più tecnico non si poteva, Draghi si trovò come unica oppositrice Giorgia Meloni e se è vero che i rapporti fra i due sono improntati a un’intelligente collaborazione, l’elettorato della presidente del Consiglio segue percorsi quantomeno differenti e di sicuro Draghi è antropologicamente distante dal centralismo e dallo statalismo che nella destra italiana sono durissimi a morire.
Fiero avversario da sempre di bonus e prebende varie, il grado di popolarità è nullo nelle fasce di elettori conquistati da anni di politica delle mani bucate.

Aggiungete le furibonde polemiche sui vaccini, che nessun dato oggettivo sugli straordinari risultati raggiunti riuscirà a cancellare e il disinteresse personale per la costruzione di un consenso e capirete il grado di “impopolarità” (sempre etimologica) di Mario Draghi.

Non ci sfugge certo la contraddizione fra le caratteristiche dello statista che sembrano perfette per i destini dell’Unione europea e questa assenza pressoché totale di base popolare e consenso elettorale. Il fatto che Draghi non abbia mai pensato a candidarsi a qualsiasi carica elettiva e che la presidenza della Commissione europea sia stata disegnata come il frutto di un accordo fra i capi di Stato e di governo non è sufficiente a cancellare alla radice questa contraddizione.
L’ex presidente del Consiglio non ha e non avrà masse di cittadini che premano perché si occupi del futuro dell’Unione. Potrebbe però avere alle spalle dei leader e dei capi di governo capaci di comprenderne le qualità e di decidere che sia giunta l’ora di sfruttarle fino in fondo.

Questi leader il consenso e la legittimazione popolare ce l’hanno eccome. Dovessero decidere di muoversi non risolverebbero in toto la nostra contraddizione ma ci darebbero una prospettiva.

di Fulvio Giuliani

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