Draghi al Senato
Il primo dei due giorni di showdown è arrivato. Quello decisivo, perché oggi – a meno di clamorosi colpi di scena – sapremo come andrà a finire la sceneggiata messa su giovedì scorso da Giuseppe Conte e da ciò che resta del “suo“ Movimento 5 Stelle
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Draghi al Senato
Il primo dei due giorni di showdown è arrivato. Quello decisivo, perché oggi – a meno di clamorosi colpi di scena – sapremo come andrà a finire la sceneggiata messa su giovedì scorso da Giuseppe Conte e da ciò che resta del “suo“ Movimento 5 Stelle
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Draghi al Senato
Il primo dei due giorni di showdown è arrivato. Quello decisivo, perché oggi – a meno di clamorosi colpi di scena – sapremo come andrà a finire la sceneggiata messa su giovedì scorso da Giuseppe Conte e da ciò che resta del “suo“ Movimento 5 Stelle
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Il primo dei due giorni di showdown è arrivato. Quello decisivo, perché oggi – a meno di clamorosi colpi di scena – sapremo come andrà a finire la sceneggiata messa su giovedì scorso da Giuseppe Conte e da ciò che resta del “suo“ Movimento 5 Stelle
Partendo dal Senato, dove i numeri sono più ballerini, avremo modo di capire per bene tendenze, posizioni ed esiti.
Che ieri filtrasse ottimismo è un fatto, esattamente come la sensazione che tutto potrebbe ancora andare esattamente all’opposto di quanto sperato al Quirinale e trasversalmente da tutti i “governisti” al lavoro.
Sullo sfondo di una simile confusione, resta la figura del capo del governo Mario Draghi, inseguita da appelli, preghiere, paure e speranze da ogni angolo del Paese e da ogni Paese che sia interessato – per i più svariati motivi e interessi – ai destini dell’Italia.
Comprensibilmente ci si chiede che destino possa avere una nazione che appaia letteralmente aggrappata a un solo uomo, che futuro possa avere quel Paese così bisognoso di “eroi“. Una domanda che mi è stata posta direttamente ieri dall’amico e collega Leopoldo Gasbarro, direttore di Wall Street Italia, che si chiede retoricamente cosa sarebbe accaduto con un raffreddore di quelli forti all’ex presidente della Bce.
La risposta a una domanda più che legittima è in ciò che la politica italiana è riuscita a combinare in questi anni maledetti dal sempre uguale: nulla. Mentre nessuno emergeva, oltre una galleria di leader capaci di toccare lo zenit e precipitare a piombo nel giro di 12-24 mesi. Ora, è il momento della Meloni trionfante (si sussurra stia già preparando la lista dei ministri per rassicurare partner e alleati), ma solo ieri toccava a Salvini, l’altro ieri a Renzi e così via.
Il problema non è santificare la singola persona e assegnargli poteri taumaturgici tali da deresponsabilizzare Paese e società, il tema è fare i conti con la realtà. In questo momento – piaccia o non piaccia – Draghi è l’ultima riserva disponibile della Repubblica che possa garantirci posizionamento internazionale, sicurezza sui mercati, credibilità in politica estera e politica energetica. Non proprio poco.
Qui non si tratta di essere tifosi di questo o di quello, ma di rendersi conto che dietro Draghi – oggi – c’è il nulla e che converrebbe approfittare degli eventuali tempi supplementari (cit.) concessi al suo governo per provare tutti, ciascuno per la sua parte, a prendersi le proprie responsabilità con un orizzonte che vada oltre le elezioni per le elezioni.
Un esempio: sembra che il leader cinese Xi, per uscire dall’isolamento in cui è finito anche a causa della guerra scatenata da Putin, stia pensando a un vertice a Pechino con i leader più importanti dell’Ue. L’ipotesi è un invito a Macron, Scholz e Mario Draghi. Domanda retorica: non ci fosse più lui, l’Italia sarebbe ancora invitata, avrebbe ancora un ruolo? Mediatiamo.
Di Fulvio Giuliani
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