Si è arrivati alla decisione più razionale nella maniera più irrazionale, i nostri politici hanno dimostrato un misto di incapacità e arroganza. La riconferma di Sergio Mattarella non significa che tutto resti come prima, anzi: le conseguenze sono ben delineate.
Ora tutto sembra restare come prima, ma non è vero. Nulla sarà come prima. Se avessero voluto la continuità, se avessero voluto lasciare le cose come stavano, se fossero stati capaci di coordinare le azioni con quei desideri, avrebbero rieletto Sergio Mattarella al primo scrutinio. Se, come è apparso evidente, avessero avuto paura dei loro stessi parlamentari – perché a fronte dell’atteggiarsi a capetti in televisione sanno bene d’essere chiacchiera senza distintivo – allora avrebbero rinviato alla quarta. Invece hanno dimostrato un misto d’incapacità e arroganza, sfociato in una capitolazione e in una poco dignitosa ritirata. No, ora non sarà come prima.
Il presidente confermato al suo posto, come era prevedibile e qui previsto, farà un discorso duro, metterà il Parlamento innanzi alle sue responsabilità. Ma sarà un parlare a una platea incapace di capire. E se anche capisse, incapace di agire. Questo porta delle conseguenze.
La prima è che il presidente del Consiglio può e deve smetterla di mediare. Da oggi in poi deve tirare dritto per la sua strada, con le spalle coperte, lavorando esclusivamente a quel che è bene fare e a farlo senza tentennamenti. Se questo o quello ha da fare la sua dichiarazione tronfia – per distinguersi, prendere le distanze, minacciare strappi – faccia pure. Nessuno lo starà a sentire. Quel che si è visto in questi giorni ha dimostrato l’inconsistenza di politiche senza contenuti e senza neanche schieramenti. Una raccolta di egolatrie, con sconfinamenti patologici. Il governo governi, con chi c’è o rimane e con chi ci sta. Al momento in cui perdesse la maggioranza non servirà a nulla provare a restaurarla: vada al Quirinale e la dissolva. Di lì a breve si dimostrerebbe che quella presunta maggioranza è minoranza nel Paese.
Anche questo porta delle conseguenze. Sempre di più si storcerà il meccanismo legislativo, perché il vuoto della politica e le esigenze operative del governo produrranno sempre di più quel che già vediamo, ovvero una legislazione fatta con i decreti legge. C’è poco da lamentarsene, perché l’alternativa è il nulla. I parlamentari che se ne lamentano provino a passare in rassegna le numerose materie in cui legiferare sarebbe urgente: è stato detto che si deve farlo e, invece, non si muove un foglio. Catalessi. Una situazione che aggiunge patologia a patologia.
Ma come può funzionare una democrazia nella quale si sono squagliati la politica e uno Stato di diritto in cui è inceppato il meccanismo legislativo? A questa domanda non possono dare risposta né il presidente della Repubblica né il governo, ragione per cui è da qui che deve ripartire l’attività della politica. Di gran corsa, perché il tempo a disposizione è molto poco. Anziché pensare di chiudere il capitolo presidenziale, per avviare quello elettorale, serve aprire quello istituzionale. Che è pure un paradosso, perché chi non si è dimostrato capace di negoziare un accordo che era scritto nelle cose e cui sono giunti per disperazione di sé medesimi, ora deve cimentarsi in un compito più difficile, gettando le basi di un rinnovamento istituzionale. La fossa alla così detta seconda Repubblica l’hanno scavata pensando d’essere potenti, ora occorrerà essere umili per gettare le basi di un nuovo assetto. È la sola cosa cui devono dedicarsi, anche perché è la sola cosa che non può essere delegata ad altri.
Non c’è, però, solo il Palazzo diroccato, con i suoi abitanti rintronati. C’è l’Italia. E ci sono gli italiani. Pensarla diversamente non è solo legittimo ma necessario, non è solo un diritto ma anche un dovere. Le democrazie sono fatte anche di passione e contrapposizioni. Quello che non è ammissibile, quello che non può continuare, è un contrapporsi di facce senza testa, di schieramenti fasulli senza vere idee, di faziosità senza costrutto, di vociare senza dire, di demagogie mai chiamate a fare i conti con la realtà. E se tutto questo è potuto disgraziatamente succedere è anche perché il mondo dell’informazione ha fatto poco il cane da guardia e molto il botolo ringhiante.
Non c’è solo un problema di classe politica: ce n’è uno, grosso, di classe dirigente. Ma c’è anche la necessità di cittadini che non si considerino né estranei né sudditi, che ricordino sempre che quei teatranti senza copione che ha visto esibirsi in questi giorni sono quelli che abbiamo votato. O che hanno approfittato del fatto che non si sia andati a votare. Certo, c’è anche il problema dell’alternativa. Ma anche su questo nulla potrà essere come prima. Si dovrà parlarne.
di Davide Giacalone
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