Meloni, la storia e gli esami che convengono a tutti
Giorgia Meloni non ha accettato l’appello di Liliana Segre di togliere la fiamma tricolore come simbolo del suo partito. Il simbolo è ormai depositato ma il tema resta.
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Giorgia Meloni non ha accettato l’appello di Liliana Segre di togliere la fiamma tricolore come simbolo del suo partito. Il simbolo è ormai depositato ma il tema resta.
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Giorgia Meloni non ha accettato l’appello di Liliana Segre di togliere la fiamma tricolore come simbolo del suo partito. Il simbolo è ormai depositato ma il tema resta.
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Giorgia Meloni non ha accettato l’appello di Liliana Segre di togliere la fiamma tricolore come simbolo del suo partito. Il simbolo è ormai depositato ma il tema resta.
Il tema non è il “fascismo“ di Giorgia Meloni. Lo abbiamo detto e scritto più volte, ospitando anche su La Ragione diversi interventi su questo tema. Che finisca per animare la campagna elettorale non sorprende, piuttosto amareggia quanto sia scontato e si muova secondo schemi novecenteschi. “Sei fascista, sei antifascista”, “sei democratico, non sei democratico”. I rischi sono gli sbandamenti fuori dal solco che ci ha garantito sicurezza e sviluppo per decenni. Lo abbiamo scritto e riscritto, facendo nomi e cognomi.
Quello che possiamo anche comprendere, ma non apprezzare della reazione della leader di Fratelli d’Italia a certe accuse nei suoi confronti è il tentativo di liquidarle come se fossero una fastidiosa zanzara che gira intorno, mentre si è impegnati a fare ben altro.
Pur con parole di profondo rispetto, Giorgia Meloni ha rispedito al mittente e senza quasi alcun approfondimento la richiesta della senatrice Liliana Segre di togliere la fiamma dal simbolo del partito. Ha fatto riferimento a una generica evoluzione della destra in Italia, come se quella fiamma non riportasse – nella sua origine – al post fascismo e al neo fascismo a lungo tenuti fuori dal consesso democratico di questo Paese. Ambienti che hanno generato e protetto, nelle loro degenerazioni, alcuni fra i protagonisti dei lunghi e cupi anni degli opposti estremismi.
Una realtà con cui fare i conti, proprio per riconoscere quell’evoluzione a cui la Meloni fa giustamente riferimento e di cui è superficiale e pretestuoso provare a farle pagare il conto. È stato più che giusto chiedere per anni al futuro Pd di abbandonare falce e martello. Per motivazioni storiche e morali, fra cui aver preso a lungo soldi e ordini dal nemico e aver provato inizialmente non vedere i “compagni che sbagliavano“. Non si capisce perché non dovrebbe esserlo con la fiamma di Fratelli d’Italia. Non è solo simbologia, è consapevolezza e rispetto della storia. Che evolve anche attraverso fratture che non sono abiure.
Nessuno chiede a Giorgia Meloni, comprensibilmente impegnata a costruirsi una credibilità internazionale, di rinnegare colpe che non ha e non potrebbe avere, le si chiede un’analisi più approfondita di quella che è stata la destra in Italia per quasi ottant’anni. Questo non ha nulla che vedere con generiche accuse di “fascismo“, è l’esame di maturità che il nostro Paese si è rifiutato di sostenere per decenni dall’altra parte.
Proprio i ritardi e gli errori dei suoi avversari di oggi dovrebbero spingere la leader di Fratelli d’Italia (e del centrodestra?) ad affrettare e approfondire quell’esame storico. La fiamma è ormai depositata, ma il tema resta, perché se Giorgia Meloni non sta sbagliando una dichiarazione sulla politica internazionale dell’Italia di oggi non si capisce perché dovrebbe aver paura di analizzare il passato.
Per lasciarselo alle spalle come ha il sacrosanto diritto di fare, ma non con semplici e frettolose battute.
di Fulvio Giuliani
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