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Migranti, la forza dei numeri

Sull’emergenza migranti è giunto il tempo di deporre l’ingenua credenza di avere una soluzione e che questa sia l’unica accettabile
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Migranti, la forza dei numeri

Sull’emergenza migranti è giunto il tempo di deporre l’ingenua credenza di avere una soluzione e che questa sia l’unica accettabile
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Migranti, la forza dei numeri

Sull’emergenza migranti è giunto il tempo di deporre l’ingenua credenza di avere una soluzione e che questa sia l’unica accettabile
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Sull’emergenza migranti è giunto il tempo di deporre l’ingenua credenza di avere una soluzione e che questa sia l’unica accettabile

Sul fenomeno dei migranti non si arriverà mai, né in Italia né in Europa, a un approccio condiviso. Quello che però sarebbe lecito richiedere alle opposte tifoserie – che usano i migranti per promuovere la propria immagine o la propria concezione del mondo – è almeno di condividere i dati di fondo del problema, senza nascondere o negare gli elementi di realtà che non fanno gioco alla propria parte politica.

Cominciamo con le serie storiche elaborate dalla fondazione David Hume sull’andamento medio giornaliero di morti e sbarchi durante gli ultimi sei governi (Renzi, Gentiloni, Conte I, Conte II, Draghi, Meloni) e che oggi trovate nella nostra pagina settimanale.

Dato numero 1: la politica dei porti chiusi non è una soluzione. Quando l’abbiamo attuata (con Salvini, che completava e radicalizzava il lavoro iniziato da Minniti) gli sbarchi sono crollati ma la rischiosità dei viaggi è risultata altissima (10 volte il livello attuale), così neutralizzando la riduzione del numero di sbarchi;

Dato numero 2: a dispetto della tragedia di Cutro, la rischiosità dei viaggi – misurata dal numero di morti o dispersi per 100 migranti sbarcati – è oggi al minimo storico dai tempi del governo Renzi;

Dato numero 3: anche la politica dei porti aperti non funziona. Durante i governi dell’operazione Mare Nostrum (Renzi e Gentiloni) il rischio di morire in mare era superiore a quello registrato durante il governo Meloni;

Dato numero 4: il costo medio del trasferimento in Europa oscilla fra i 3 e i 20mila dollari, a seconda della lontananza del Paese di provenienza;

Dato numero 5: la maggior parte dei migranti che si affidano ai trafficanti appartengono nel loro Paese d’origine al ceto medio;

Dato numero 6: il numero di persone che vorrebbero entrare in Europa è di almeno un ordine di grandezza più alto delle nostre capacità di accoglienza.

Se prendiamo atto di questi dati, diventa difficile credere alle soluzioni che da destra e da sinistra vengono prospettate. La politica dei porti chiusi fa esplodere la rischiosità dei viaggi e così mantiene alto il numero delle morti nel Mediterraneo. La politica dei porti aperti alimenta il traffico di esseri umani, facendo lievitare un giro di affari che è già dell’ordine dei miliardi di euro. L’apertura di nuovi corridoi umanitari (sicuramente auspicabile) non fermerebbe i trafficanti, che soddisfano una domanda di posti in Europa ben superiore all’offerta. Il blocco delle partenze e i respingimenti assesterebbero un colpo mortale al business dei migranti, ma cozzano con il senso di umanità e il diritto internazionale.

E l’idea di un piano Marshall (o piano Mattei) per l’Africa? Anche qui sarebbe saggio non farsi troppe illusioni. L’investimento richiesto sarebbe enorme e si scontrerebbe con due dati di fondo: l’immane corruzione dei governi e delle burocrazie della maggior parte dei Paesi africani, ma anche il deflusso – passato, presente e futuro – dei lavoratori più qualificati e istruiti che da anni, emigrando, depauperano i Paesi di partenza.

Se le cose stanno così, forse dovremmo cominciare a pensare che la scelta che abbiamo di fronte non è fra due o più soluzioni ma fra una pluralità di non-soluzioni, ciascuna delle quali porta con sé dei benefici ma anche dei costi difficili da accettare. È di tali benefici e di tali costi che dovremmo cominciare a discutere, senza ipocrisie e illusioni. Deponendo l’ingenua credenza di avere una soluzione e che questa sia l’unica accettabile.

di Luca Ricolfi

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