I tifosi di Mosca, il rifiuto e la mistica
I tifosi di Mosca, il rifiuto e la mistica
I tifosi di Mosca, il rifiuto e la mistica
Su due cose dovremmo chiarirci le idee: come mai i tifosi di Mosca sono passati da sinistra a destra, dal pugno chiuso al braccio teso, ma sempre a schiena china e mano mendica? E cosa li spinge – dopo due anni iniziati negando che ci sarebbe mai stata una guerra e affermando che le violenze sui civili erano soltanto una messa in scena, per poi essere quotidianamente smentiti – a essere ciechi nella fede verso un dittatore, al punto da umiliare sé stessi nel sostenere l’insostenibile?
Gli amori crescono quando sono corrisposti e Mosca ha ricambiato la sinistra ieri e la destra oggi non perché abbia cambiato gusti, ma perché ha mantenuto fermo il desiderio di destrutturare e destabilizzare le democrazie occidentali. Ieri veniva meglio con le sinistre perché erano opposizione, oggi viene meglio con le destre perché è lì che si coltiva l’opposizione al sistema. Difatti ieri non appoggiarono tutte le sinistre – perché ve ne erano di socialdemocratiche e atlantiste, capaci di governare – ma finanziarono soltanto quelle che si opponevano all’atlantismo e al riformismo. E la più grossa era in Italia. Oggi sorreggono e finanziano (come è documentato abbiano fatto in Francia) le destre che sono contro la destra di governo. La missione è sempre la stessa: dividere e indebolire. Anche l’addestramento è lo stesso: ieri non bastava dire che l’Urss era la patria del socialismo (e s’è visto), si doveva anche dire che aveva la medicina migliore e che gli scrittori dissidenti scrivevano male (indimenticabili le critiche a Solgenitsin); oggi non basta dire che la Russia è la patria del patriottismo, si deve anche dire che i vaccini fanno male (tanto i russi non li hanno) e che Navalny e Zelensky sono nazisti. Agli addestratori non importa che i loro addestrati siano dignitosi: serve che siano efficaci nel dividere.
Ad aiutarli c’è tanta parte dell’informazione senza memoria. Fa tanto bello spettacolo mettere in prima pagina la fanciulla italiana che aspira a essere cittadina russa e ama sentirsi dire da Putin che forse s’innamorò non solo della Russia, ma di qualche russo. E giù risate. Pare che nessuno si ricordi di Bruno Pontecorvo (divenuto Bruno Maksimovič Pontekorvo), trasferitosi in Russia con tutti gli onori salvo poi, dopo la fine dell’Urss, riconoscere che forse aveva preso una cantonata. Magari la fanciulla potrebbe ‘googolare’ in merito, fra un’intervista e l’altra.
Cosa li spinse e cosa li spinge? Il rifiuto e la mistica. Il rifiuto di un sistema democratico vissuto come decadente e privo di valori, incapace di destare grandi passioni ma capacissimo d’appassire nel politicantismo e nei compromessi. Che sia l’area più ricca e sana – oltre che libera – del mondo non li smuove, perché si dicono deprivati se non accedono all’ennesimo consumo di lusso e abbandonati se al Pronto soccorso c’è la fila (Pontecorvo pensò di farsi curare in Italia un femore rotto, ma morì prima). Che le democrazie siano considerate decadenti da un tempo tanto lungo da avere già visto cadere tante dittature non li smuove, tanto lo negano e mettono a frutto l’ignoranza. E poi la mistica, nella declinazione ideologica o sacrale. La sicurezza nella missione di un popolo, ieri nell’accezione marxiana e ora in quella divina. Ieri come oggi, senza avere mai letto roba illeggibile ma citata: dagli scritti di Ceausescu a quelli di Dugin.
Dopo due anni di guerra pare siano stanchi quelli che la guardano, piuttosto che quelli che la subiscono. La ragione è che i primi credono che benessere e libertà siano acquisiti per diritto di nascita, lasciando così scorrazzare le orde sobillatrici dei seguaci moscofili; mentre i secondi vedono all’opera quel mondo guidato dalle allucinazioni ideologiche e mistiche, sicché escludono che la sconfitta sia un’opzione accettabile. Se Stalin ieri e Putin oggi si sono spesi per allevare i loro seguaci in casa nostra è perché sperano d’impedirci di combattere. Il che li vota alla sconfitta nel presente e alla dannazione della memoria.
di Davide Giacalone
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