Multe e scorte nel caso Santanchè
| Politica
Innumerevoli le sfaccettature della vicenda Daniela Santanchè: tra multe, contravvenzioni e scorte forse non necessarie, il caso è ancora aperto

Multe e scorte nel caso Santanchè
Innumerevoli le sfaccettature della vicenda Daniela Santanchè: tra multe, contravvenzioni e scorte forse non necessarie, il caso è ancora aperto
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Multe e scorte nel caso Santanchè
Innumerevoli le sfaccettature della vicenda Daniela Santanchè: tra multe, contravvenzioni e scorte forse non necessarie, il caso è ancora aperto
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Sono innumerevoli le sfaccettature della vicenda che ha coinvolto il ministro del Turismo Daniela Santanchè. Una che ha scatenato commenti anche fantasiosi riguarda le multe da lei prese con una Maserati utilizzata come auto di scorta e secondo alcune ricostruzioni presa in leasing a 77mila euro attraverso la società Visibilia. Più di 400 infrazioni fra il 2015 e il 2019, la stragrande maggioranza delle quali per accessi alla Ztl di Milano. Multe cancellate, in questo caso, semplicemente perché il veicolo poteva circolare. Una cinquantina di contravvenzioni per divieto di sosta risultano invece trasmesse dal Comune alla società che si occupa di riscuotere i crediti. Al Senato il ministro ha sostenuto che debbano essere pagate dai Carabinieri perché l’auto – seppur intestata alla sua società – era utilizzata come veicolo di scorta. Dall’Arma trapela una certa irritazione per le dichiarazioni del ministro. Di chi sono quelle multe? Il funzionamento dei servizi di scorta è normato da un regolamento per ovvie ragioni riservato. Esiste molta differenza fra i livelli di protezione: siamo abituati a immaginare le forze dell’ordine in borghese che svolgono servizi di scorta viaggiare su auto ministeriali ma in realtà – come ci ha spiegato proprio chi per anni ha lavorato in quei reparti – nei livelli di protezione più bassi chi viene scortato mette a disposizione la propria automobile. È quello che il ministro Santanchè ha definito «comodato d’uso gratuito». Il termine può apparire fuorviante: la sostanza è che gli agenti della scorta utilizzano non un’auto ministeriale ma una vettura che appartiene alla persona da tutelare. La macchina a quel punto viene registrata, risulta come vettura adibita al servizio di scorta ma questo naturalmente non significa che tutto le sia concesso. Le donne e gli uomini che svolgono servizi di scorta devono compilare una sorta di resoconto della loro attività quotidiana. Se vengono commesse infrazioni al codice della strada, le multe arrivano lo stesso perché sono una sorta di atto dovuto. Fra l’altro, nel caso del divieto di sosta non si può certo immaginare che l’agente di Polizia locale o l’ausiliario sia a conoscenza che una targa corrisponda a un’auto usata per il servizio di protezione. Ciò non toglie che i dati risultino in Prefettura, ma l’onere di dimostrare che l’infrazione è stata commessa durante l’attività di scorta resta in capo al proprietario. Chiunque egli sia. In più andrebbe compreso se tutte quelle infrazioni fossero necessarie. Senza entrare nel merito della vicenda specifica, a un basso livello di protezione corrisponde un livello basso di rischio per lo scortato. E allora forse rispettare il codice della strada non farebbe alcuna differenza ed eviterebbe l’effetto arroganza. Sfuggendo così a multe, polemiche e rimpalli di responsabilità. di Annalisa Grandi
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