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Noi giovani senza partiti

Tutti parlano della disaffezione dei giovani nei confronti della politica, ma nessuno parla dei veri problemi che vessano la loro partecipazione politica

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Noi giovani senza partiti

Tutti parlano della disaffezione dei giovani nei confronti della politica, ma nessuno parla dei veri problemi che vessano la loro partecipazione politica

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Noi giovani senza partiti

Tutti parlano della disaffezione dei giovani nei confronti della politica, ma nessuno parla dei veri problemi che vessano la loro partecipazione politica

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Tutti parlano della disaffezione dei giovani nei confronti della politica, ma nessuno parla dei veri problemi che vessano la loro partecipazione politica

Tutti parlano della disaffezione dei giovani nei confronti della politica, quasi come fosse diventato l’equivalente nella vita pubblica delle conversazioni al bar sport. Parlano di astensionismo, cattive abitudini, droghe, abuso dei social (come se la politica ne fosse esente), incapacità manifesta e poca voglia di fare di queste nuove generazioni. Nessuno parla invece della vera chiave di lettura per comprendere i problemi che vessano la partecipazione politica dei giovani. Per farlo bisogna infatti rovesciare la questione, cambiare totalmente prospettiva e osservare quei ragazzi che oggi popolano i banchetti dei partiti e le piazze delle nostre città.

I giovani che oggi si iscrivono a un partito vengono considerati unicamente in virtù dell’utilità ‘manuale’ della loro militanza, in un clima di deresponsabilizzazione dove nel migliore dei casi vengono usati come cassa di risonanza delle idee calate dal leader di turno. Con poche eccezioni, le sezioni giovanili non vanno a congresso, non hanno mandati di produzione di contenuti politicamente rilevanti e vedono le loro dirigenze nominate dalle sedi romane. Tutto ciò in un panorama caratterizzato dalla morte totale dei partiti tradizionali. Nella meritocrazia del migliore pappagallo, dove si illude di vincere chi meglio imita le storture della politica ‘adulta’, diventa molto difficile emergere per le proprie convinzioni e capacità. A questo si unisce la frammentazione delle attuali realtà partitiche: ciascuna costituisce una ‘bolla’ che vive l’attività politica in modo estremamente conflittuale con gli altri e al proprio interno, alimentata da personalismi anziché da idee e valori condivisi. Per rompere questa profezia autorealizzante non possono che esserci due soluzioni.

La prima riguarda la vita interna ai partiti stessi: per essere attrattive, le forze politiche devono tornare a essere contendibili e democratiche, capaci di far convivere una pluralità di sensibilità e mettere al centro della discussione di partito queste divergenze. La seconda soluzione è inerente invece a tutte quelle forme di attivismo politico già anni luce avanti rispetto ai partiti. Le realtà che oggi riescono a coinvolgere maggiormente i giovani sono quelle che si occupano di single issue.

La classe dirigente non dovrebbe sminuire questo processo, ma anzi provare a inserirlo in luoghi di aggregazione politica più strutturata, per mettere a sistema quella militanza e dare una ‘casa’ a chi ancora non l’ha trovata. Questo comporterebbe incanalare, tramite mezzi riconosciuti e istituzionali, la grande energia politica che spesso si limita a momenti di protesta ma che fatica a trovare una traduzione in policies delle proprie posizioni. A questo servirebbero strumenti di partecipazione vera dal basso. A questo servirebbero partiti in grado di accogliere queste istanze senza annichilirle all’interno di strutture votate unicamente all’occupazione del potere.

Di Matteo Hallissey e Federico Pasotti

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