Quello che fa male alla democrazia
Oggi, le opposizioni non esistono, se non in una stanca recita a soggetto, tesa a mangiarsi a vicenda un po’ di voti e potersi presentare come il meno sconfitto fra gli sconfitti
Quello che fa male alla democrazia
Oggi, le opposizioni non esistono, se non in una stanca recita a soggetto, tesa a mangiarsi a vicenda un po’ di voti e potersi presentare come il meno sconfitto fra gli sconfitti
Quello che fa male alla democrazia
Oggi, le opposizioni non esistono, se non in una stanca recita a soggetto, tesa a mangiarsi a vicenda un po’ di voti e potersi presentare come il meno sconfitto fra gli sconfitti
Oggi, le opposizioni non esistono, se non in una stanca recita a soggetto, tesa a mangiarsi a vicenda un po’ di voti e potersi presentare come il meno sconfitto fra gli sconfitti
Vittorie e sconfitte che non riescono neppure a fare notizie, oltre il compitino che televisioni, giornali, social e radio sono chiamati a svolgere. Dopo il colpo di teatro in Sardegna, in Abruzzo e Basilicata – al netto di corpi elettorali piccoli e di un’affluenza bassa – per le opposizioni è stata una Waterloo.
Non sconfitte, ma rovesci, anche perché arrivate in tutte le formazioni, alleanze trasversali e combinazioni possibili.
È inutile girarci intorno: oggi, le opposizioni non esistono, se non in una stanca recita a soggetto, tesa a mangiarsi a vicenda un po’ di voti e potersi presentare come il meno sconfitto fra gli sconfitti.
Una condizione disarmante e sconfortante per chiunque abbia a cuore non gli interessi di una parte politica ma del miglior funzionamento di un sistema democratico evoluto.
Non riusciamo a individuare il formarsi di una reale alternativa alla maggioranza, apparsa intoccabile sino a oggi. Almeno dall’esterno, perché quanto a tensioni e litigiosità interne ce n’è per tutti i gusti e ne vedremo delle belle da qui ai prossimi mesi.
Però, sin dai tempi di Berlusconi, a destra si mandano a quel paese, ma alle elezioni si presentano uniti e con un progetto almeno apparentemente coerente.
Chi costruisce un’alternativa che non sia solo un’accozzaglia di parole d’ordine vecchie di ottant’anni o di un radicalismo fine a se stesso? Cosa vogliono diventare i Cinque Stelle, sospesi fra un sinistrismo radicale e il sogno del capo Giuseppe Conte di riproporsi come candidato presidente del Consiglio non si sa di quale alleanza?
Quanto al Partito democratico, canta vittoria perché galleggia intorno al 20% nei sondaggi e sembra poter staccare lo stesso Conte. Al contempo, sfoggia una leader che ammette candidamente quanto sia divisivo il proprio nome. Ci può piacere o meno l’idea dei nomi nei simboli dei partiti, ma non avevamo mai assistito alla scenetta di un segretario che si presenta alle elezioni, ma senza farsi notare troppo altrimenti i suoi si arrabbiano…
Lo schema sembra porre il centrodestra in una condizione paradossale: così tranquillo, da essere fatalmente attratto da un po’ di sano autolesionismo. Aggiungete che alle europee si voterà con il proporzionale secco e tutti potranno dire di aver vinto perseguendo i propri, parzialissimi obiettivi e capirete perché non riusciamo a vedere la costruzione di una vera democrazia dell’alternanza nel prossimo futuro.
La maggioranza litiga e litigherà ancora, ma almeno ha una leader indiscutibile e due, tre punti fermi consolidati da proporre agli elettori. Le opposizioni sono dominate da leader di corto respiro e visione ancora più ristretta.
Una democrazia senza proposte alternative valide è una democrazia che si ripiega su se stessa e questo ci sembra molto più preoccupante delle sceneggiate della Rai e di tutti gli apocalittici allarmi lanciati strumentalmente per nascondere la propria insipienza.
di Fulvio Giuliani
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