Pannella, l’uomo che seppe guardare avanti
Pannella, l’uomo che seppe guardare avanti
Pannella, l’uomo che seppe guardare avanti
Compare nelle pagine più belle dell’album di famiglia della Repubblica, indossando le vesti dello zio strambo e geniale che menava ogni volta scandalo inintegrabile. Spiazzante nei suoi anticipi, non voleva vincere ma convincere, indisposto a barattare le sue battaglie con una mera rendita elettorale.
Nato a Teramo il 2 maggio 1930 e morto a Roma il 19 maggio 2016, Giacinto Pannella detto Marco è stato fra i fondatori del Partito radicale. Insieme ai suoi compagni si batté per il diritto al divorzio, la legalizzazione dell’aborto, il voto ai diciottenni e il riconoscimento degli obiettori di coscienza al servizio militare. Ambientalista decenni prima dei Verdi (ai quali poi regalò il simbolo elettorale), all’inizio degli anni Ottanta condusse una lunga battaglia contro lo sterminio per fame nel mondo, mobilitando il Parlamento e centinaia di premi Nobel. Lo criticavano «perché di fame si muore già in Italia» e lui a spiegare che senza sviluppo e futuro quelle genti si sarebbero riversate in massa da noi.
Mai stato sottosegretario, ministro, senatore a vita. Atlantista, federalista europeo (Altiero Spinelli lo designò in punto di morte suo erede politico), propugnatore del presidenzialismo all’americana e del sistema elettorale uninominale anglosassone. Ideatore e organizzatore di un modello di partito al tempo stesso transnazionale e transpartitico, ha concepito e vinto le campagne per l’istituzione del Tribunale contro i crimini di guerra e per una moratoria Onu delle esecuzioni capitali.
Gandhiano e antimilitarista, usava l’arma dello sciopero della fame e della sete come forma efficace di lotta nonviolenta. Si è sempre schierato contro ogni forma di pacifismo o di ignavia terzista. Sostenne fin dal principio che la politica criminale di Milošević dovesse essere fermata con un intervento militare dell’Europa e indossata la divisa croata si recò nei campi di battaglia non lontano da Osijek, dove si fronteggiavano le forze croate e quelle serbe. Denunciò senza esitazione il regime di Putin ed è stato l’unico politico europeo presente ai funerali moscoviti di Anna Politkovskaja.
Non aveva bisogno di convertirsi. Era profondamente credente, ma in altro: nelle infinite possibilità della persona, nel compagnonnage scanzonato e amorevole, nel diritto alla vita e nella vita del diritto, nella tremenda responsabilità che ci viene affidata ogni giorno dall’essere liberi. Educato dalla madre alla disciplina protestante, amico personale del Dalai Lama nonché fratello della comunità ebraica e dello Stato di Israele, ha predicato per tutta la vita una teoria della prassi cristiana in terra di controriforma cattolica.
È morto povero (un privilegio, tra i politici), lasciandoci molto più ricchi: di buone leggi, di grandi idee, di occasioni da cogliere. Era troppo impegnato a vivere per trovare anche il tempo di invecchiare. Amava ripetere «Sono un uomo d’altri tempi, speriamo futuri». E a quanti lo fermavano per strada chiedendogli di battersi per questo o quest’altro lui rispondeva con la locuzione latina Spes contra spem, che così traduceva: «Siate speranza, agite! Che avere solo speranza, restando inerti, non ce lo possiamo permettere».
di Vittorio Pezzuto
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