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I tanti paradossi meloniani e la necessaria realpolitik

Il premier in pectore Giorgia Meloni si trova nel pieno di un assoluto paradosso: per proteggere il suo (futuro) governo deve riporre tutte le proprie speranze nell’Unione Europea.

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I tanti paradossi meloniani e la necessaria realpolitik

Il premier in pectore Giorgia Meloni si trova nel pieno di un assoluto paradosso: per proteggere il suo (futuro) governo deve riporre tutte le proprie speranze nell’Unione Europea.

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I tanti paradossi meloniani e la necessaria realpolitik

Il premier in pectore Giorgia Meloni si trova nel pieno di un assoluto paradosso: per proteggere il suo (futuro) governo deve riporre tutte le proprie speranze nell’Unione Europea.

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Il premier in pectore Giorgia Meloni si trova nel pieno di un assoluto paradosso: per proteggere il suo (futuro) governo deve riporre tutte le proprie speranze nell’Unione Europea.

Siamo i primi ad aver sottolineato le dichiarazioni occidentaliste e atlantiste di Giorgia Meloni. Parole nette e oltre ogni ragionevole dubbio. Lo ribadiamo pur senza dimenticare nessuna delle posizioni apertamente e legittimamente anti europeiste della stessa leader di Fratelli d’Italia, come le amicizie risapute e non proprio nel solco di una visione unitaria dei destini europei. Eppure, complice la follia della guerra putiniana e le sbandate degli alleati, Giorgia Meloni si trova nel pieno di un assoluto paradosso: per salvaguardare l’abbrivio del suo governo e garantire risposte efficaci alle emergenze sul tavolo, a cominciare da quella energetica, non può che sperare e puntare tutto sull’Unione europea.

Qualsiasi altra soluzione, che non sia concordata con i partner, lascerebbe imprese e famiglie italiane in balia delle conseguenze dello shock energetico. Le stesse risorse a disposizione – per quanto limitate rispetto alla valanga di miliardi impegnati dai tedeschi – sono esclusivamente il frutto del lavoro del precedente governo, rispetto al quale ora il prossimo presidente del Consiglio si trova in un altro dei suoi paradossi. Da capo dell’unico partito orgogliosamente all’opposizione dell’esecutivo Draghi, Giorgia Meloni è ora costretta a respingere quotidianamente il sospetto di inciuci con l’ex presidente della Banca centrale europea o, ancor peggio, di farsi dettare agenda e impegni da Mister Euro. In realtà siamo molto più prosaicamente davanti a quel concetto di sana continuità, illustrato ieri in questo stesso spazio. Continuità limitata a pochi ma essenziali ambiti di politica internazionale ed economica di indiscutibile valore positivo per l’Italia e che nulla ha a che vedere con le molteplici letture maliziose di questi giorni. Tanto per gradire, molte delle quali piovute dai suoi stessi alleati.

Si accennava alla mossa tedesca per sterilizzare gli aumenti delle bollette di gas e luce; anche qui Giorgia Meloni non può che affidarsi al suo personalissimo paradosso europeo per disinnescare la bomba-Salvini. Senza l’arma formidabile di un maxi intervento concordato a livello di Unione, le risulterebbe arduo se non impossibile resistere alle offensive del leader della Lega, sempre assetato di nuovo debito a scopo propagandistico. Pensateci: un conto sarebbe mettere sul piatto un robusto impegno comunitario; un altro poter sventolare solo quella manciata di miliardi frutto dei maggiori ricavi dell’Iva, della crescita e della tassazione degli extra profitti. Ben poco per placare un’opinione pubblica giustamente preoccupata e pur sempre imbevuta da anni di retorica populista e sovranista.

Eccoci, così, all’ultimo di questo lungo elenco di paradossi meloniani: dover pagare un prezzo proprio a quella propaganda anti europeista e a base di tricolori sui social che ha indiscutibilmente contribuito alle fortune di Fratelli d’Italia. Ora che si avvicinano i giorni del governo e della responsabilità, dovrà fare un certo effetto a Giorgia Meloni contemplare una strada oggettivamente molto stretta e lastricata di stelle dell’Unione. Sarà pur per banale convenienza e assenza di alternative quanto volete, ma sempre infinitamente meglio di scelte avventurose e dettate dalla pura convenienza del momento. Siamo onesti, però: la speranza è che il valore di questi paradossi sia colto anche a Bruxelles e nelle altre cancellerie europee, dove non si è fatto troppo mistero di guardare con un misto di sospetto e timore il nascente governo italiano. In questo passaggio così delicato, insomma, un po’ di sana realpolitik da tutte le parti non guasterebbe.

Ci sarà tempo per rivedere le antiche posizioni e le dichiarate antipatie o forse questo tempo non arriverà mai e potrebbe paradossalmente – ci risiamo un’ultima volta – non essere neppure troppo importante.

Di Fulvio Giuliani

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