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Parigi

Parigi, una mossa che andava fatta

Parigi val bene una mossa, che c’è stata. Non ci si deve attendere troppo dalle conclusioni, perché il molto sta nell’avere cominciato

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Parigi, una mossa che andava fatta

Parigi val bene una mossa, che c’è stata. Non ci si deve attendere troppo dalle conclusioni, perché il molto sta nell’avere cominciato

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Parigi, una mossa che andava fatta

Parigi val bene una mossa, che c’è stata. Non ci si deve attendere troppo dalle conclusioni, perché il molto sta nell’avere cominciato

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Parigi val bene una mossa, che c’è stata. Non ci si deve attendere troppo dalle conclusioni, perché il molto sta nell’avere cominciato

Parigi val bene una mossa, che c’è stata. Non ci si deve attendere troppo dalle conclusioni, perché il molto sta nell’avere cominciato. Non si deve cedere alla tentazione di ribattere sempre parola su parola, si deve essere capaci di costruire fatti. E di mettere in luce quelli che ci sono e che la falsificazione digitale prova slealmente a cancellare. A cominciare dalla potenza: per Pil siamo equipollenti agli Usa e superiori alla Cina; militarmente siamo inferiori; negli aiuti all’Ucraina siamo i primi e superiamo gli Usa.

A Parigi non c’è stata una riunione ristretta fra Paesi dell’Unione europea, ma un incontro allargato al Regno Unito, con il segretario generale della Nato e la presidente della Commissione europea. Ci saranno altri incontri e si dovrà coinvolgere tutti quelli che siano disposti a caricarsi sulle spalle la scelta e le conseguenze di un’Europa (non solo Ue) che rifiuti d’accodarsi all’idea che si possa scambiare la diplomazia della pace con il benestare ai dispotismi. È di grande significato che da Musk a Vance si siano usate parole per spaccare l’Ue, ma che l’Ue si sia ritrovata a discutere di difesa assieme con il Regno Unito. Un po’ come è capitato a Putin, che ha scatenato una guerra dicendo di volere fermare la Nato dove la Nato non c’era e s’è ritrovato con due Paesi neutrali e vicini che sono entrati di corsa nella Nato, dove non erano.

La mossa fatta potrebbe innescare delle contraddizioni, ma potrebbe anche superarle. Ieri, ad esempio, dal Cremlino è giunto un gradito contributo alla determinazione italiana, visto che nei confronti del nostro Presidente della Repubblica sono passati dagli insulti alle minacce. Erano state chiare le parole di Marina Berlusconi, circa l’inesistenza di una alternativa all’integrazione europea (e significativo il riferimento ai social, come sottolinea Giuliani qui a fianco, e ad algoritmi che devono cessare d’essere segreti). Fin da prima di vincere le elezioni e giungere al governo era inequivocabile la posizione di Meloni: saremo al fianco dell’Ucraina «fino in fondo». Tutto ciò non toglie che nella maggioranza c’è chi pensa l’opposto e che analoga divisione si produce fra le opposizioni.

Vance, bontà sua, ci ha ricordato che si devono ascoltare gli elettori. Chissà se è vero anche quando votano Biden. Comunque ha ragione, così funzionano le democrazie. Ma ci sono delle conseguenze: se l’amministrazione Usa fa apertamente campagna per gli anti-antinazisti di AfD e se questi dovessero prendere (come indicano i sondaggi) intorno al 20% dei voti, avendo tutti – dicasi tutti – gli altri escluso di volerli avere alleati ne discende che intorno all’80% voterà contro AfD e contro l’esplicita (e incosciente) indicazione Usa. Toccherà ascoltare.

Ma, tornando a Parigi, questa è la contraddizione o almeno il dilemma in cui ci si trova: in tempi normali è scontato che governi europei di diverso colore collaborino fra di loro ed è scontato che i governi nazionali siano frutto delle indicazioni elettorali; eppure in tempi non normali, in cui si devono prendere decisioni che attengono alla natura stessa delle democrazie, sia nei singoli Paesi sia fra Paesi le forze razionali e responsabili sono spinte a coalizzarsi, il che – ecco il dilemma – finisce con il rafforzare il ruolo antagonista di irrazionali e irresponsabili.

Parigi è una mossa. Andava fatta. Ma si deve iniziare a parlare alle opinioni pubbliche nazionali e all’opinione pubblica europea, senza girarci attorno e senza la miopia morale dei piccoli guadagni elettorali. Serve che lo capisca chi governa, non meno di chi fa opposizione. Non ci serve una breve sospensione dei vincoli di bilancio e – giammai – una sospensione delle regole democratiche: ci serve una rifondazione politica che prenda atto della lucida e determinata scelta statunitense di porre fine al secondo dopoguerra e interpretare diversamente il proprio ruolo nel mondo.

Restare con la testa all’immediato passato significa perdere immediatamente la presa sul presente e il peso nel futuro.

di Davide Giacalone

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