Partiti e urne. Senza Legge
Il governo Draghi ha lavorato per poco più di 17 mesi, dribblando agguati e ripicche dei partiti e ottenendo risultati indiscutibili sul piano nazionale e internazionale. Certificati proprio in queste ore dai dati del Fondo monetario internazionale
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Partiti e urne. Senza Legge
Il governo Draghi ha lavorato per poco più di 17 mesi, dribblando agguati e ripicche dei partiti e ottenendo risultati indiscutibili sul piano nazionale e internazionale. Certificati proprio in queste ore dai dati del Fondo monetario internazionale
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Il governo Draghi ha lavorato per poco più di 17 mesi, dribblando agguati e ripicche dei partiti e ottenendo risultati indiscutibili sul piano nazionale e internazionale. Certificati proprio in queste ore dai dati del Fondo monetario internazionale
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Il governo Draghi ha lavorato per poco più di 17 mesi, dribblando agguati e ripicche dei partiti e ottenendo risultati indiscutibili sul piano nazionale e internazionale. Certificati proprio in queste ore dai dati del Fondo monetario internazionale
L’esecutivo ha fatto il suo mestiere, in sostanza, rispettando il mandato indicato dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, quando il capo dello Stato risolse una crisi politica senza uscita affidandosi all’ex presidente della Bce. A quel punto, i partiti – oltre che fornire un fondamentale appoggio in Parlamento e garantire la vitale fiducia (come lo stesso Draghi ha più volte sottolineato per un anno e mezzo, sino al giorno in cui hanno deciso di porre fine a un’esperienza evidentemente per loro aliena) – avrebbero dovuto fare una sola cosa: la legge elettorale. Un impegno reso ancora più ineludibile dal taglio dei parlamentari, bandierina identitaria grillina camuffata da riforma costituzionale. Un intervento a gamba tesa sulla macchina rappresentativa dello Stato quanto mai sciagurata, soprattutto se non accompagnata da una lucida riforma della legge per il voto e degli stessi meccanismi che lo regolano, a cominciare dal disegno dei collegi.
Davanti a una realtà simile, i partiti non hanno fatto nulla. In realtà, non ne hanno neppure cominciato a parlare, chiusi nel loro piccolo mondo antico fatto di diffidenze incrociate, di equilibri precari in cui i peggiori nemici si annidano quasi sempre fra i presunti alleati. Un gioco dell’oca (mai partito), trasformatosi nei quattro cantoni del “tanto peggio, tanto meglio”. L’unico partito formalmente all’opposizione del governo Draghi, Fratelli d’Italia, non avrebbe mai dato il via alle danze, potendo capitalizzare al massimo la propria posizione, fino a toccare vette inesplorate di consenso. Gli effetti li vediamo proprio in queste ore su un centrodestra sull’orlo della crisi di nervi, per il nettissimo predominio di Giorgia Meloni su alleati sempre più tronfi di parole e poveri di voti. Tutti gli altri, senza distinzione, si sarebbero dovuti fare in quattro, cercando convergenze – seppur minime – su un piano comune di discussione e d’accordo. Sarebbero bastate, in definitiva, un po’ di coscienza e responsabilità. Purtroppo, in questo spettacolo messo su da anni gli unici personaggi a non scarseggiare mai sono i don Abbondio, che come noto il coraggio non ce l’aveva e non poteva neppure darselo.
Andremo così a votare con una legge che era sciagurata di suo e che dopo il taglio ha assunto contorni da maggioritario feroce, come emerge da tutte le simulazioni su cui stanno perdendo il sonno i leader dei partiti, soprattutto quelli destinati a soccombere in quasi tutti i collegi. Ora che non c’è più niente da fare, resta solo la rabbia e l’amarezza per i mesi buttati a sgomitare per un posticino al sole, inseguendo questa o quella polemica d’attualità, senza trovare mai cinque minuti per fare il proprio lavoro. Mai.
E se c’è una responsabilità che non può essere divisa con i cittadini – a differenza delle tante volte in cui abbiamo ricordato il peso del voto, anche nelle avventure politiche al limite dell’esoterismo – è proprio quella sulla legge elettorale. Un manifesto di irresponsabilità destinato a gridare vendetta già dal prossimo autunno, non a caso richiamato con toni preoccupati dall’uomo che per 17 mesi ha sollevato leader e formazioni politiche da incombenze troppo grandi per loro.
Di Fulvio Giuliani
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